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I comitati sono di destra o di sinistra?
Non tornare all'aggiunto del Sindaco
13 maggio tra civette e partite scudetto
Nata dalla resistenza
La squadra del Sindaco
Libere forme associative e avanzo di bilancio

Una montagnola elettorale

Si sta innervosendo

Da testimonial del Centro Trapianti

Neppure un voto vada sprecato

E’ l’ora della riflessione

Per i DS una guida forte verso l’unità nell’Ulivo

Ripartire dalle città

La Madonna di San Luca

Se questo è il nuovo…

Due Torri nel cuore l’Ulivo in Comune

Ulivo: il solito grave errore

L’alta velocità e la qualità della vita

Una sola, saldissima, certezza

Bologna torna caso nazionale

G8: caro Cesare, ricordi?

Bologna sicura

Credo ancora nei DS

E’ l’Islam il nemico?

Da S. Petronio alla Mongolfiera

Bologna: impegno globale

Tra Blair e Casarini, non ho dubbi

Federica, 18 anni

Il cerchio si stringe

Il muro di Berlino

La guerra e la bandiera

Dozza, sindaco di sinistra

La lunga marcia di Fassino

Il telefono spia

La giustizia

Si comincia così

L’Europa unita

Pilastro: 11 anni dopo

Senza Ministro degli Esteri

Senza sbagliare una mossa
Per chi suona la campana di Cossiga
Tutti in campo per Bologna
Un film già visto
L'isolamento di Bologna
Bologna si muove
360 gradi?Non funziona più
25 anni fa: un ragazzo di nome Francesco
Per Ivan
Un uomo del dialogo
Il vuoto dell'aula consiliare
Due popoli, due stati
Finchè ci sarò io...
Il protagonista
Le rappresaglie
Lo stato democratico
Divisi alla meta
Lasciateci il ciclismo
La difesa del territorio
La testa nel pallone
Ulivo: ultima fermata
Il Liceo Fermi e gli esami di maturità
La credibilità del mondo del calcio
Rispetto per una famiglia
Senti... l’attimo che fugge via.
Come vincere le elezioni
Bologna e le primarie
Il ritorno dalle ferie
I matrimoni a Bologna
Feste dell'Unità, chiediamolo ai Bolognasi
Il candidato sono io
Quel girotondo
Potenza del web o voglia di sentimenti
Antipatici, ma c'è un limite
Lo sciopero e l'unità sindacale
Il girotondo dei sindaci
Due modi di essere Italia
Sei giovane, fammi capire
Gli arresti non spezzino il dialogo
Tra Monteveglio e Parco Nord
Devoluzione?

Devoluzione

Forse il governo italiano riuscirà nelle prossime settimane a fare approvare dal Parlamento nazionale, non uso a caso questa definizione, la legge più deleteria ed iniqua del suo faticoso cammino. L’Italia è piena di preoccupazioni, molte di queste indipendenti dalla volontà del governo, a partire dalla grave crisi internazionale legata al terrorismo e alla situazione economica. Tutte le previsioni sono saltate e le calamità naturali si assommano alle errate valutazioni sulla capacità di mettere in moto il rinnovamento strutturale. Sorvolando su questioni che toccano indirettamente la quotidianità dei cittadini, come la situazione della giustizia e della Rai, mi pongo una domanda: era veramente indispensabile riaprire la lacerazione nord sud rispolverando la devolution di Bossi? Frequento attivamente la politica da anni e comprendo il valore dei patti tra alleati, ma su tutto deve prevalere, se non il senso dello Stato, almeno il buon senso. Sono tra coloro che ritengono che in particolari momenti di crisi, ricordo il terrorismo, maggioranza e opposizione devono abbassare i toni delle polemiche e cercare convergenze in particolare sulle regole e sui passaggi istituzionali più significativi. L’Europa faticosamente, anche con l’allargamento ad altri Stati sta cercando di avvicinarsi all’unità politica e questo renderà sempre più piccole le singole nazioni che dovranno mantenere vivi alcuni punti comuni della propria tradizione. La lega è nata come partito segnalando reali disfunzioni in tema d’equilibrio distributivo tra nord e sud e se vogliamo una certa arroganza del potere centrale; la degenerazione di quel movimento, è legata all’assoluta mancanza di sensibilità sociale e solidaristica nei confronti di una parte del Paese. Ora il governo, e mi meraviglio soprattutto di An, ha deciso di assoggettarsi ad una riforma voluta da Bossi che porterà ad un drammatico squilibrio tra aree diverse del Paese. I sistemi sanitari e scolastici, possono vedere differenze, come già oggi avviene, ma non possono essere affidati alla discrezione totale dei governi locali; per non parlare delle polizie padane o se passerà il referendum polizie emiliane e polizie romagnole. Questa è una riforma pericolosa, lo hanno capito anche gli alleati di centro di Berlusconi che però cederanno per non perdere il posto, e sembra una burla davanti al fatto che i sindaci di tutti i colori sono in rivolta contro una finanziaria che mette in ginocchio gli Enti locali.

Bologna, 1 dicembre 2002                                                 Maurizio Cevenini

 

 

Tra Monteveglio e il Parco Nord

Ogni tanto ci penso e sembra passato un secolo da quando, poco più di cinque anni fa, partiva il Pullman dell’Ulivo per convincere l’Italia che il governo Berlusconi non era adeguato per l’ingresso in Europa. Ci riuscimmo, anche con un po’ di fortuna, perché capimmo che solo unendo tutte le forze di progresso e di sinistra con una parte del centro moderato potevamo convincere gl’italiani. Facemmo un buon servizio al Paese, il risanamento dei conti, la moneta unica, l’avvio di riforme importanti. Poi la tragedia dei conflitti, dell’arroganza, dell’autosufficienza con il voto di Bertinotti a sancire la disfatta. Anche allora, in qualche modo, Bologna fu al centro dei momenti più significativi: la partenza dell’avventura di Prodi al mai dimenticato collegio 12, ma anche la sconfitta di Bologna alle amministrative. Oggi ci troviamo nelle stesse condizioni: l’Ulivo al bivio tra disgregazione definitiva e rilancio e sullo sfondo le amministrative del 2004, a metà dell’esperienza del secondo governo Berlusconi, cartina al tornasole della possibile alternativa di centro sinistra. Senza evocare i tempi del comunismo dal volto umano certamente il voto a Bologna non sarà ininfluente sulle sorti nazionali; per questo tutto ciò che si muove nella nostra città, non può essere vissuto con leggerezza e tutti i protagonisti del dibattito politico devono capire che le parole in libertà possono danneggiare i progetti più ambiziosi. Nei giorni scorsi si sono svolti due importanti appuntamenti, molto diversi ma indissolubilmente legati tra loro. Da un lato il sempre vivace Pedrazzi, sempre presente nei momenti delle grandi scelte nella nostra città, ha convocato presso Monteveglio, presidio simbolico d’indimenticabili incontri ulivisti, un nucleo selezionato di cultori dell’Ulivo della prima o della seconda ora, ha poca importanza, ad affrontare con “la promessa“ della politica italiana Sergio Cofferati i contenuti programmatici del nuovo Ulivo; dall’altro centinaia di diessini nel forte assediato (dall’attuale maggioranza né di destra né di sinistra) del parco nord si ritrovavano per motivare l’esigenza di rendere più forte il partito di maggioranza relativa in città. Tra le due iniziative girotondi e comitati invitavano a serrare le fila. In sé tutte queste iniziative sono preziose e denotano una volontà di ripresa d’attività politica, voglia di confronto, ma manca quello scatto quella consapevolezza del ’96. Il nemico è dall’altra parte, a lui si deve guardare con diffidenza e con sospetto. Tutte le energie vanno dedicate alla maggioranza dei bolognesi, che non vive direttamente le nostre elucubrazioni; a loro deve giungere un messaggio chiaro e convincente, a partire da Bologna, a partire dalla voglia di vincere.

Bologna, 24 novembre 2002                                         Maurizio Cevenini

 

Gli arresti non spezzino il dialogo

La scorsa settimana è stata caratterizzata da diversi avvenimenti. La visita del Papa in Parlamento è stato certamente il più importante, tutti ne hanno parlato per giorni e personalmente mi limito a dichiararmi tra coloro che danno un giudizio positivo. Solo chi ha poca fiducia nella solidità della democrazia può pensare che la laicità dello Stato sia messa in discussione dalla visita del capo della Chiesa di Roma ai massimi rappresentanti della Repubblica. L’attualità mi porta, però, a parlare dell’arresto, per associazione sovversiva, di diversi esponenti dei movimenti anti globalizzazione. E’ un fatto grave sotto diversi profili. Intanto se le accuse fossero confermate, non potrebbe essere sottovalutato il ruolo di un gruppo operante a livello nazionale che agisce per creare destabilizzazione nel Paese; al contempo appare rilevante la contemporaneità dell’azione giudiziaria con il positivo dialogo avviato a Firenze tra i movimenti e gli organi dello Stato. Su tutto questo deve comunque prevalere, in particolare nella sinistra, la capacità di mantenere un comportamento coerente e chiaro perché siamo in una fase della lotta politica che vede un attacco nei confronti dell’autonomia della magistratura, l’ultimo episodio della Cirami è lì a confermarlo. Se questo è vero, se è vero che anche i magistrati possono sbagliare, il rispetto deve rimanere inalterato anche quando ad essere toccati sono interessi o persone vicini ad una o all’altra parte politica. Come sempre è la lentezza del sistema giudiziario, con lo scandalo di troppi detenuti in attesa di giudizio, che deve smuovere i legislatori a tutti i livelli. La scorsa settimana parlai con grande favore del dibattito che si era sviluppato a Firenze, anche con gruppi che in più di un’occasione avevano sfiorato l’illegalità, e l’approccio e la preparazione dell’appuntamento di Firenze rispetto a Genova è apparso evidente. Da tutte le parti, anche nel governo, il termine più ricorrente è stato dialogo. L’azione della Procura di Cosenza spezza inevitabilmente questo processo di distensione; se i magistrati, in coscienza, hanno individuato un pericolo per la stabilità dello Stato hanno fatto il loro dovere a far scattare gli arresti; questo dovrà caratterizzarsi rapidamente con la presentazione di prove che non siano legate a semplici dialoghi, anche duri, tra persone. E’ troppo labile il margine che divide l’azione sovversiva dal reato d’opinione e su questo occorre un’azione rapida ed equilibrata.

Bologna, 3 novembre 2002  Maurizio Cevenini

 

Sei giovane, fammi capire

Nei giorni scorsi, attraverso una rete radiofonica che ospita un mio spazio quotidiano, ho aperto un dibattito virtuale che mi sta appassionando. Anche in questa rubrica desidero continuare la riflessione che mi ha portato a valutare il rapporto che il mondo politico, senza distinzione di colore, non riesce ad avere con i giovani. A chi mi riferisco? A uomini e donne che non hanno ancora trent’anni e vivono, studiano, lavorano nelle nostre città. Il tentativo che cerco di fare è quello di ribaltare il classico schema che ci vede affannosamente alla ricerca di proposte, di stimoli per raggiungerli con il nostro approccio vecchio e scontato. Firenze da questo punto di vista è un esempio significativo; con i suoi convegni, incontri, manifestazioni ha ribaltato radicalmente le convinzioni che in tanti, compreso il sottoscritto, avevano espresso. L’assedio alla capitale culturale del nostro Paese da parte di vandali giunti da tutta Europa non c’è stato, anzi questi tre giorni sono serviti per sentire qualche messaggio sulla pace e sul governo globale del mondo. I giovani, a migliaia, hanno trovato un motivo in più in una città bellissima per stare insieme tre giorni, dimostrando fastidio per l’inserimento dei big a caccia di consensi. Forse, con un po’ di presunzione in meno, questa sinistra frastornata e litigiosa dovrebbe dare spazio e fiducia alla freschezza di pensiero di ragazzi non compromessi dalle estenuanti mediazioni che precedono ogni decisione. Personalmente non sono convinto che le tesi che prevalgono nel variegato spazio anti globalizzazione siano utili alla salvezza del mondo, mentre giudico straordinariamente positivo il movimento che cresce per la pace. Questo però non è determinante. La mia considerazione non vale solo per un movimento giovanile che guarda, secondo gli schemi tradizionali, a sinistra. Giovani con idee chiare ci sono nei locali di Bologna, ai concerti, allo stadio; s’incontrano per divertirsi e parlano tra loro con semplicità disarmate. Non so a quanti miei colleghi è capitato di essere messo in difficoltà dai ragionamenti disarmanti di una ragazza più giovane di vent’anni. E’ un’esperienza unica che consiglio a tutti coloro che vogliono fare attività politica. Siate semplici, naturali ascoltate e non date giudizi. A te che sarai chiamato a sfidare Guazzaloca per il governo di Bologna, un consiglio: incontra i giovani sul loro territorio, ascoltali e capirai come vogliono vivere la tua città. I servizi, gli spazi, soprattutto culturali, che ti chiederanno dovranno essere una priorità nel tuo programma. 

Bologna, 10 novembre 2002                   Maurizio Cevenini

 

Due modi di essere Italia

Quando in una tragedia muoiono dei bambini tutto si fa più scuro e aumentano le recriminazioni su quanto si poteva fare. Questo stato d’animo coinvolge anche me e probabilmente quanto penso e scriverò sarà falsato dall’emozione. Nei giorni scorsi, quasi in contemporanea, due fatti gravi uno vicino a noi l’altro lontano. A Bologna un incendio spaventoso è divampato nella residenza protetta Villa Ranuzzi che avrebbe potuto avere conseguenze tragiche. Se ciò non è avvenuto non è frutto del caso, della fortuna e mi piacerebbe che i cittadini della nostra città ne avessero piena consapevolezza. Le cause, in via d’accertamento, assumono un riflesso marginale quando si fa il bilancio di una scampata tragedia. Si deve sapere che nella città di Bologna una struttura privata dedita al servizio più delicato, la cura delle persone anziane soprattutto disabili, aveva predisposto tutti gli strumenti tecnici per far fronte ad evenienze drammatiche. Impiantistica a norma, compartimentazione dei locali, personale addestrato. Tutto ciò non sarebbe bastato se un intero sistema non avesse funzionato in modo coordinato. Vigili del fuoco, 118, polizia sono intervenuti con rapidità, con professionalità e abnegazione. Tutte queste cose dovrebbero essere scontate in un Paese normale, ma l’Italia non è tutta così. Qui ci sono aziende che investono nella sicurezza e una rete pubblica di servizi d’emergenza di primaria qualità. L’altro è noto, ha commosso l’intero Paese, il terremoto nel Molise. Dimensioni diverse, esempi non paragonabili, ma incendi e terremoti sono entrambi episodi che si ripetono spesso in un Paese predisposto a questi eventi. La sensazione amara che colpisce un po’ tutti è che i fenomeni siano identici ma le reazioni estremamente diverse. Parlando di terremoti, pur prevalendo le regioni meridionali, tutta la penisola per la sua conformazione ne è investita. Come esperienza diretta ho vissuto durante il servizio militare il terremoto del Friuli, felice di essere stato utile; sono ripassato dopo alcuni anni da quei Paesi rasi al suolo. Come la scenografia di un film tutto era tornato al proprio posto. Certo le ferite nei cuori non potevano essere rimarginate dalla tecnologia, ma chi era rimasto era tornato nelle proprie case ricostruite a tempo di record. Quelli nel meridione li ho seguiti nei filmati e sui giornali, il Belice, l’Irpinia. Purtroppo si deve constatare che vi sono due modi di essere Italia e la politica c’entra il giusto. La generosità è identica, la forza degli uomini anche, ma c’è qualcosa sul piano della sicurezza, della capacità d’intervento che divide ancora profondamente. Questo è il primo nodo da affrontare, dopo le recriminazioni, per non piangere sull’ennesimo vergognoso ritardo.

Bologna, 3 novembre 2002                                         Maurizio Cevenini

 

Il girotondo dei sindaci

La scorsa settimana fui un po’ critico nel presentare l’iniziativa del movimento della Sveglia, perché aveva deciso di portare, in solo colpo, a Bologna i massimi leader dell’Ulivo, Rutelli e Fassino, assieme ai sindaci di tre simboliche città. Oggi non ho alcuna difficoltà nel fare autocritica perché l’incontro ha evitato i rischi che paventavo e che voglio rapidamente richiamare. Il rischio principale era quello, nel momento più basso di coesione dell’Ulivo, di mettere in contrapposizione i movimenti con i partiti tradizionali sottoponendo a processo sommario i principali responsabili; il secondo, altrettanto insidioso, entrare in una polemica sul metodo per individuare il candidato per il 2004 e il conseguente immobilismo dello schieramento. La scelta di evitare il dibattito e l’introduzione sobria del conduttore, hanno fatto sì che gli ospiti, inaspettatamente sobri anche nei tempi d’intervento, armonizzando i propri interventi abbiano lasciato nel folto pubblico l’impressione che esista una forte volontà di lavorare per Bologna e per l’unità del centro sinistra. Vorrei soffermarmi in particolare sugli interventi di Reggi, sindaco di Piacenza, e Pericu, sindaco di Genova. Due uomini e due esperienze radicalmente diverse che, attraverso le parole, hanno fatto capire come si possa vincere in realtà diverse con alcune idee chiare. L’uno giovane architetto al primo mandato (che, piccola digressione personale, non disdegna il gioco del calcio ed è capitano della squadra del Consiglio), l’altro docente universitario con un passato da parlamentare e al secondo mandato. Con parole chiare i due sindaci hanno presentato le loro ricette preziose anche per Bologna. Intanto entrambi hanno confermato l’importanza del candidato autorevole che sappia stare in mezzo alla gente e l’esigenza dell’ampia convergenza del centrosinistra sin dal primo turno. Più chiaramente vuol dire che con Rifondazione comunista occorre fare subito un’alleanza elettorale. Scrivere il programma attingendo dalle richieste dei cittadini ascoltando con umiltà i problemi, partendo dalle periferie. Ma le affermazioni più interessanti sono venute sull’esigenza di non seguire l’avversario, sulle singole spicciole inadempienze, ma incalzarlo con il proprio programma; in questo è fondamentale segnalare spesso le differenze tra destra e sinistra che esistono in particolare nella difesa dei diritti dei più deboli, sull’istruzione e le politiche culturali. Il girotondo dei sindaci è stato utile.

Bologna, 28 ottobre 2002 Maurizio Cevenini

 

Lo sciopero e l’unità sindacale

Molto probabilmente lo sciopero proclamato per venerdì prossimo dalla sola CGIL, avrebbe visto la presenza di tutte le componenti se non ci fosse stata la lacerazione sul famoso Patto per l’Italia.

Questo governo non è affidabile; sul piano economico ben più che sulla giustizia e sull’informazione, campi di battaglia particolarmente graditi dal mondo variegato dei girotondi e dei movimenti.

Il caso Fiat, la congiuntura internazionale e il progetto di finanziaria denotano l’incapacità decisionale di un esecutivo che ha trovato come collante elettorale solo la capacità del grande comunicatore.

Non prendo in considerazione le lacerazioni tra centristi e An sulla storia di tangentopoli, sul versante del centrosinistra c’è altrettanta capacità d'autodistruzione. Questi sono certamente elementi importanti per segnalare il disagio di una coalizione che dopo annunci continui non riesce neppure ad indicare un responsabile per gli esteri; ma il dato allarmante è legato allo sbandamento di chi, barricato nelle sue illusioni per non parlare della malafede, vede bruciare il palazzo e soffia. Sulla economia non si può scherzare, senza paventare fantasmi argentini o simili, vanno individuati interventi urgenti e strutturali. Il mondo dell’impresa e i lavoratori dovranno affrontare grandi sacrifici, occorre dichiararlo con la franchezza che contraddistingue i veri uomini di Stato. Occorre un Patto vero e per fare questo vanno messe sul tavolo tutte le carte, seguendo le indicazioni del Governatore della Banca d’Italia. Il tempo dei furbi è durato poco più d’un anno, credo che il ministro Tremonti, arrogante e supponente, dovrebbe passare la mano ad un uomo della mediazione. Bisogna rimettere in moto la concertazione, ritessere quel filo spezzato con le parti, giustizia sociale e sviluppo devono muoversi nuovamente di pari passo.

E qui voglio rivolgermi alle organizzazioni sindacali. La CGIL non può pensare che con l’autosufficienza si possa continuare per molto; sono convinto che il gioco subdolo di Berlusconi abbia illuso Cisl e Uil di avere un interlocutore affidabile, ma respingo le maligne interpretazioni di comodo.  Può succedere di sbagliare, ma adesso è il momento dell’avvicinamento ed Epifani e la Cgil devono, con umiltà, fare il primo passo.

Ripeto, ci sono le condizioni per una grande lotta unitaria dei lavoratori, ma nessuno può pensare di far chinare la testa all’amico di ieri. Cancellate lo strappo di giugno, sono convinto lo vogliano indistintamente tutti coloro che credono al progresso di questo Paese.

  

Bologna, 13 ottobre 2002                   Maurizio Cevenini

 

Pace, la guerra dellUlivo

 

I matrimoni in una città importante come Bologna sono un’occasione importante per fare incontri, scambiare opinioni. Per i fatti noti di tre anni fa celebro solo i matrimoni che mi vengono richiesti. Quindi sono molte le persone che conosco. La maggior parte mi parla della cerimonia, qualcuno del Bologna, pochi di politica. Forse perché nelle occasioni di festa gli argomenti impegnativi è meglio lasciarli fuori. Sabato e domenica scorsi è andata diversamente. "Che vergogna", "vi siete bevuti il cervello", "io li maderei tutti a casa", "vi riempite la bocca con parole come unità, rivincita, vergognatevi" , "fate il gioco di Berlusconi, resterà lì per molto tempo". Queste sono le frasi che mi sono rimaste più impresse, delle tante che mi sono state dette sull’atteggiamento delle forze dell’Ulivo. La cosa curiosa è che nessuno mi ha parlato del problema serissimo dei venti di guerra che minacciano l’umanità. Cinismo, superficialità? Nulla di tutto questo. Tutti sono pienamente consapevoli della terribile situazione che stiamo vivendo, dall’11 settembre le cose sono veramente cambiate. Tutti vorrebbero fare qualcosa per bloccare la macchina infernale della guerra e nello stesso tempo il terrorismo. La pace è il bene supremo ma io non riesco ad essere tra coloro che, forse in totale buonafede, pensano di avere l’assoluta certezza che opporsi a tutto sia la strada migliore. Sull’episodio specifico degli alpini io penso che ci sia da fare una distinzione netta tra l’impegno in Afghanistan e l’ipotetico impiego in Iraq. Se fossi stato un parlamentare dell’Ulivo avrei lavorato fino all’ultimo per trovare una mediazione, una astensione motivata da un documento contro la guerra per fare un esempio. Tutto tranne che presentarsi a coloro che dovranno trovare una motivazione per votarci ancora, spaccati in cinque posizioni. La credibilità è durissima da conquistare, molto più duro mantenerla. Cari dirigenti nazionali, ma a voi arrivano gli accorati appelli, oggi rabbiosi, di chi sta dando l’anima per trovare un senso nello stare insieme? E’ comprensibile che domenica a Marzabotto vi sia stata l’invocazione a Romano Prodi perché tornasse in Italia. Non è perché sia un fenomeno, ma molto banalmente rappresenta una stagione politica dove l’egoismo di parte era stato accantonato per far vincere l’idea di uno schieramento coeso attorno al suo leader. Oggi quelle condizioni sono lontane e faccio fatica a vedere la luce. Fortunatamente sono solo un modesto dirigente periferico, spetta ad altri trarre le conseguenza dei fatti di questi giorni.

Bologna, 6 ottobre 2002 Maurizio Cevenini

 

Antipatici, ma c'è un limite

In questi giorni tutti gli italiani s’interrogano sulla situazione economica del nostro paese avvolti dal terrore di una nuova guerra, certamente meno lontana di quanto i chilometri ci separano dall’Iraq. La festa è finita. Se ne stanno accorgendo tutti, anche i fedelissimi incrollabili ragazzi di Forza Italia cominciano a pensare che saranno anni di sacrifici. Questa orrenda parola che il presidente Berlusconi è stato costretto a pronunciare salvo dopo rettificarla goffamente con la bizzarra interpretazione sui tagli che colpiranno esclusivamente ministeri ed Enti Locali. Qui sta il ragionamento che brevemente vorrei sviluppare su Bologna e sulla nostra Regione. Le famiglie, prima forma d’azienda, alla fine dell’anno fanno un bilancio precisissimo: da un lato le entrate dall’altro le spese; se andrà bene si farà qualche investimento, molto spesso qualche debito. A nessuno di noi, da Berlusconi o Agnelli in giù, interessa a quale Ente paghiamo le tasse ciò che conta è l'importo che paghiamo. Il Governo sta tentando di mescolare le carte facendo cadere sugli Enti locali buona parte della manovra. Il fatto più grave, meno visibile per i cittadini, è la brusca interruzione del processo d’autonomia federalista di Regioni e comuni. Il paradosso è che ciò avviene con Bossi, ministro delle riforme, che delle autonomie dovrebbe essere geloso custode, ma si sa che le poltrone curano molti mali. In questo quadro preoccupante i comuni hanno avuto una reazione orgogliosa, compatta. I Sindaci più prestigiosi hanno alzato la voce, da destra e da sinistra, a difesa dell’autonomia di chi ha il contatto diretto con i propri cittadini. La nostra Regione, tutti i comuni piccoli e grandi sono intervenuti, Bologna, ancora una volta, no. Ha parlato l’assessore al bilancio e ha dovuto ammettere che la finanziaria e vergognosa. Ma il sindaco Guazzaloca, sollecitato al più alto livello dalle opposizioni, ha taciuto. Con tutto il rispetto per Galletti non è la stessa cosa. La richiesta non è straordinaria, semplicemente un intervento per chiarire la posizione della città con l’autorevolezza che solo il primo cittadino può avere. Mi sono chiesto quale motivo può avere, unico sindaco in oltre cinquant’anni di storia democratica della nostra città, un sindaco a rifiutare qualsiasi dialogo nell’aula consiliare. Sono arrivato alla conclusione più triste, banalmente antipatia. Tutti noi, questa opposizione, siamo antipatici al sindaco e ci punisce con quest’atteggiamento sprezzante. Per un attimo mi piacerebbe pensasse che almeno metà della sua città si sente rappresentata dai suoi antipatici avversari e il sindaco di tutti dovrebbe rispondere.

 

Bologna, 1 ottobre 2002                                                               Maurizio Cevenini

 

Potenza del web o voglia di sentimenti?

Mercoledì scorso è terminata la festa dell’Unità di Bologna. Non era certo la prima, non sarà l’ultima. Sarà stato il legame fortissimo con una manifestazione che ha segnato passaggi fondamentali della mia vita, il concerto finale dei quattro mostri della musica, l’affetto per tanti compagni che hanno dato l’anima, sta di fatto che ho ritenuto giusto scrivere un ringraziamento. L’ho fatto rivolgendomi ad una ragazza che ha visitato la festa, senza essere una di noi; è comparso solo sul mio sito che non ha certo grandi ambizioni. Mi sono arrivati per la prima volta 59 messaggi in tre giorni, molto belli carichi di sentimento. In particolare ragazze che hanno capito, almeno in parte, cosa è stato per me questo settembre.

 

La Festa è finita.

Nei prossimi giorni, in pochi giorni, il Parco Nord tornerà vuoto e silenzioso.

Dovrà passare un anno; un anno di preparativi per tante donne e tanti uomini, sempre uguali sempre intensi. Perché, per cosa?

Lo facciamo per il Partito, già il Partito. Lo facciamo per noi, per voi che ci guardate da lontano.

In questa città, in un mese viviamo emozioni miste a tanta fatica.

Tu ragazza dagli occhi luminosi e dal sorriso dolce, guardaci. Siamo una sola donna un solo uomo uniti da qualcosa di magico.

Credi intensamente che ci possa essere qualcosa fuori dal cinismo, dall’egoismo, dal sarcasmo dei superficiali.

Fissa uno qualunque di noi troverai qualcosa di diverso.

Prosegui il tuo cammino sicura, ogni anno ci ritroverai qui: per te, per il tuo futuro.

Rozzi e stupidi sentimentali, ma magici in un ristorante o alla pesca gigante.

Ti abbiamo strappato un sorriso, ci basta.

La nostra festa per un attimo è stata la tua festa.

Pensaci e ricorda quel parco che con solo un briciolo di fantasia è castello incantato, bosco delle fiabe.

Vedi, qui entrano tutti; anche coloro che ci disprezzano, ma non lasciano traccia, non ci scalfiscono.

Noi siamo puliti e anche questo è inusuale.

La schiena è dritta davanti ai potenti e agli arroganti, e anche questo è una questione di stile.

La vecchia quercia ora riposa, avvicinati senza timore ti ascolterà anche nel resto dell’anno, dispensando saggezza, con discrezione.

Care compagne, cari compagni questo fa la differenza e ci farà sempre grandi. Presto mentre la ragazza andrà incontro alla vita, alla sua vita tanto diversa dalla nostra, noi ci vedremo in ogni sezione e organizzeremo per i tortellini, decideremo se rifare il pesce, quali dibattiti. Eh vai… Sarà inverno, forse tornerà la neve.

Tornerai ragazza dagli occhi luminosi e dal sorriso dolce?

Lo speriamo, noi ci saremo per te.

Visitate il sito, leggerete molte risposte. www.mauriziocevenini.it

Bologna, 22 settembre 2002                                        Maurizio Cevenini

 

Quel girotondo

In apertura di questo pezzo devo confessare che la mia debolezza calcistica mi ha fatto preferire Bologna-Roma rispetto al viaggio a Roma. Ho seguito, quindi, attentamente dal racconto eccitato di tanti compagni e cittadini e dai resoconti dei giornali lo svolgimento della manifestazione dei cosiddetti girotondini.

La prima considerazione è per una grande e bella manifestazione democratica che, pur nella durezza degli slogan, è stata ordinata e senza tensioni. Quando le piazze si riempiono in questo modo deve gioire tutto il Paese, compresi coloro che non ne condividono i contenuti. Da oggi è entrato in campo un nuovo soggetto della politica italiana con tutte le ambiguità tipiche dell’innovazione nell’agire politico. Nonostante critiche e scetticismo presenti anche nel centrosinistra si deve riconoscere al movimento la capacità di mobilitare coscienze e soprattutto risvegliare un mondo giovanile da troppo tempo lontano dalla realtà politica. Naturalmente insidie e limiti sono dietro l’angolo e sta ora all’intelligenza dei leader, che più negano di esserlo e più sono individuati come tali, aprire un dialogo intenso e serio con i partiti; le critiche per il passato e alla litigiosità attuale sono importanti se si è convinti che non ci si trovi davanti ad un processo disgregativo irreversibile. Per dirla con maggiore chiarezza: il movimento è un grande valore aggiunto dello schieramento riformista che si pone in alternativa al deludente governo Berlusconi, se volutamente o meno viene a sostituirsi ai partiti si riduce a protesta sterile.

Le critiche ai partiti da parte di Moretti e compagni sono sacrosante, lo dice uno che crede ancora nel bipolarismo, ma ora “tutti giù per terra” ad elaborare un progetto credibile. Questo deve avvenire in Italia come a Bologna perché la maggioranza degli italiani è assente dalle piazze ma alla fine sceglie nel voto; e lo fa a volte favorendo il più bravo a vendere la sua merce, ma quando si accorge di essere turlupinata cambia solo se il negozio di fronte si dimostra serio e credibile. Il messaggio più chiaro di tutta la manifestazione è stato il richiamo all’unità che tante volte ha percorso l’Ulivo, ma da slogan non si è tradotto in pratica; per farlo tutti i leader, riconosciuti dai partiti o dai movimenti, devono mettersi al servizio della coalizione, Cofferati compreso. Berlusconi sa bene che l’unica debolezza dell’avversario è la frammentazione ed è su questo che lavora. Sta a tutti noi evitare di girare, ancora una volta, a vuoto.

Bologna, 15 settembre 2002                   Maurizio Cevenini

Tribuna: il candidato sono io

 

La tentazione è stata grande. Il vortice di dichiarazioni sui possibili candidati alla sfida contro Guazzaloca mi ha fatto pensare ad una dichiarazione eclatante e paradossale: il candidato del centrosinistra sono io

. Questo avrebbe permesso ai tanti fenomeni che lanciano formule di spaccarsi in due fronti: quello più robusto, composto dai "conoscitori della politica", a dichiararsi profondamente contrario, quello dei semplici a dire "perché no?".

E avanti con altre discussioni. Così non va bene, come non va bene inseguire sulle piccole questioni le azioni di Guazzaloca e del centrodestra. Io sono tra coloro che ritengono che il candidato dovrà arrivare in fretta; ho fatto molte dichiarazioni in questo senso e visto che, nella veste di sfidante, si deve battere maggiormente il territorio il fattore tempo riveste una grande importanza. Ma comprendo che tecnicamente occorre mettere a punto uno schema di programma comune tra Ulivo, movimenti e spero con rifondazione e Italia dei Valori.

Ho aggiunto "spero" perché con rifondazione comunista non si può fare un accordo ad ogni costo, ma ho fiducia che la saggezza prevalga in un partito che si richiama alla sinistra. Il programma non dovrà essere un libro dei sogni, né il tentativo di contestare ogni azione delle giunte precedenti; parlo in particolare di quella Vitali, perché di significativo l’attuale mi pare abbia messo in campo poco. Bologna è ancora una città gradevole e vivibile, la prudenza che ha ispirato Guazzaloca ha impedito che in modo prorompente An e Forza Italia imponessero il proprio passo sul tessuto di grande partecipazione che caratterizza Bologna; ma in caso di secondo mandato, non rinnovabile per Guazzaloca, lo stravolgimento avverrebbe in modo massiccio.

 Per questo principale motivo la sinistra deve indicare il suo progetto, partendo dalla difesa dei servizi e dell’ampio tessuto associativo della città. Dovrà, in raccordo di strategia politica, e l’affinità di governo aiuterà, con Provincia e Regione completare la pianificazione strategica di Bologna rendendo il tessuto urbano meno soffocato dall’ingorgo stradale. Mettere mano con coraggio alla regolamentazione del traffico in città, ricordando le lentezze dall’84 in poi; fare vivere la città contro il degrado anche senza l’invenzione dell’assessore alla sicurezza. E inoltre, con chiarezza, affrontare i nodi posti dai tanti comitati inserendo scelte significative volute dai cittadini. Chi sarà chiamato a farlo lo vedremo e sarà lui a parlare per tutti noi in strada in ogni angolo per dare speranza di qualcosa di meglio. Senza ipocrisia dico anch’io che Bersani sarebbe una scelta felice, ma ci possono essere altri che, con il convinto consenso di tutti, possono vincere per Bologna. Da oggi è essenziale costruire il futuro, senza occuparci della stanca amministrazione di questi anni. Dimenticavo, ma solo per quelli che non amano i paradossi e l’arma sottile dell’ironia, io non sono nella rosa dei candidati. Solo pensare a quante partite del Bologna dovrei perdere…

 

Bologna, 8 settembre 2002 Maurizio Cevenini

 

Festa dell'Unità, chiediamolo ai bolognesi

Fine agosto e settembre tradizionalmente rappresentano il momento delle feste di partito. In prevalenza, almeno nel nostro territorio, si parla di feste dell’Unità che hanno resistito, pur nel ridimensionamento, al passaggio del PCI al PDS al DS. Quella di Bologna, dopo le esperienze della Montagnola e dei Giardini Margherita da decenni si svolgono nell’area del Parco Nord.

Un tempo le cose erano molto più semplici e artigianali, non era solo questione di un numero maggiore di militanti. Oggi la specializzazione nei montaggi, la qualità del controllo igienico sanitario impongono un rigore superiore che ha portato ad un miglioramento qualitativo importante. E’ soprattutto per questo, a mio avviso, che la festa è frequentata da migliaia di bolognesi ed è la festa di tutti. Anche coloro che non votano a sinistra la frequentano e la rispettano. La nuova maggioranza, che ormai comincia a non esserlo più tanto, è di parere diverso e a primavera lanciò una campagna per il forte ridimensionamento delle feste nei parchi, adducendo motivazioni ambientali che solo in minima parte possono essere condivise. Quell’attacco fu temporaneamente respinto ma ora ci riprovano, pronti per la campagna d’autunno.

Le feste de L’Unità sono indigeste alla maggioranza di centrodestra di questa città. Passi che il consigliere Rocco chieda l’intervento della magistratura, ma quando interviene il capogruppo di AN vuole dire che si vuole nuovamente alzare il tiro.

Il pretesto è il sovraccarico di traffico che crea qualche disagio ai residenti e le proteste sono legittime ed è utile un confronto, ma le misure adottate quest’anno dall’organizzazione hanno fortemente ridotto l’impatto. Da questo a chiedere di porre al confino l’iniziativa più popolare in città ce ne corre. Sarebbe interessante chiedere ai bolognesi cosa pensano di questo evento culturale e di socializzazione. Tra l’altro si mangia ogni anno sempre meglio e qualche esponente di maggioranza può testimoniarlo. Certo rappresenta anche il finanziamento trasparente ad un Partito che vuole crescere il suo consenso in città e, visto l’avvicinarsi del 2004, qualche fremito in maggioranza comincia a sentirsi. Cari colleghi concentratevi sui problemi più gravi della città e non pensate troppo alle migliaia di bolognesi che affollano i viali e i dibattiti del parco Nord, stanno solo pensando alla rinascita di Bologna.

 

 

Bologna, 2 settembre 2002 Maurizio Cevenini

I matrimoni a Bologna

Piano piano la città sta riassumendo il suo aspetto consueto, certamente più caotico, ma restano alla ribalta gli argomenti stagionali, almeno sul piano dell’interesse giornalistico. In mezzo ai più tradizionali, inflazione, mucillagine, vacanze dei vip, a Bologna in questi giorni si è aperta la polemica sui matrimoni. Argomento leggerino se non coinvolgesse aspetti religiosi che toccano la sensibilità di molti bolognesi ed hanno collegamenti con gli ultimi drammatici episodi d’intolleranza. Tutto nasce dalla pubblicazione dei dati statistici sui matrimoni in città che vedono, per la prima volta il sorpasso dei matrimoni civili su quelli religiosi. A partire dalle argute considerazioni del sociologo Anderlini si è sviluppato un dibattito che ha portato politici, opinionisti, religiosi ad azzardare le ipotesi più svariate; agli estremi opposti chi parla di svolta epocale frutto dell’oltranzismo del Cardinale chi, di contro, incolpa l’invasione di stranieri che ha aumentato i matrimoni civili. Creare le condizioni per una guerra di religione sul primato dei matrimoni mi sembra sbagliato e non rispondente alla realtà. Certo la presenza di stranieri, l’impossibilità dei divorziati di svolgere il matrimonio in Chiesa, fanno aumentare le unioni civili, ma il dato più rilevante ed inconfutabile, è che sono sempre più i giovani che fanno una scelta di convivenza senza il vincolo del matrimonio. E’ su questo dato culturale, sociale e, perché no, religioso si devono confrontare gli esperti per analizzare la nostra società. La famiglia, per come la può interpretare ognuno di noi, attraversa una crisi profonda, sostenuta dalle difficoltà e dai pericoli della nostra epoca. Ogni sforzo per sostenerla, in modo concreto, è lodevole e i Comuni devono essere in prima fila per mettere a disposizione risorse e servizi per i nuovi nuclei, con la massima attenzione per i figli.

Il matrimonio religioso, a mio parere, rimane una scelta importante di molti bolognesi; in modo altrettanto legittimo altri scelgono la funzione civile.

Punto. Lasciamo da parte altre letture che spingono all’intolleranza e alla discriminazione. Lasciamo stare le competizioni e pensiamo piuttosto alla convivenza pacifica, alla libertà di religione, in un mondo che dà preoccupanti segnali d’instabilità. 

Chi invece vuole cavalcare un freddo dato statistico per animare, come ce ne fosse bisogno, una battaglia ideologica rende un cattivo servizio alla sua città

 

Bologna, 25 agosto 2002                                      Maurizio Cevenini

 

Il ritorno dalle ferie

Si ricomincia. E’ la frase che accompagna tanti di noi al ritorno da un periodo più o meno lungo di ferie. E’ stata un’estate dominata dal maltempo meteorologico e politico. Il nostro continente è stato sconvolto dalle inondazioni di fiumi tanto amati e temuti che hanno messo in ginocchio il patrimonio culturale ed economico di città simbolo come Praga e Dresda. Come sempre si scontrano in modo stridente le polemiche sull’uso distorno del nostro patrimonio naturale, dei limiti dello sviluppo industriale, con il massiccio impegno di volontari, per lo più giovani, che si sono lanciato generosamente in aiuto come avvenne per Firenze tanti anni fa; a dimostrazione che la generosità è un sentimento che vive ancora nei giovani oltre le generazioni. L’Europa tutta dovrà impegnarsi in modo solidale verso queste popolazioni dimostrando che l’unità dei popoli è importante più della moneta e delle gerarchie individualistiche. A questo si collega la discussione ferragostana sul patto di stabilità; quell’impegno solidale che ha portato i Paesi fondatori della comunità, che si sta allargando, a non sfondare i limiti di bilancio assegnati per non creare squilibri insostenibili nel lungo periodo. Sappiamo tutti che l’11 settembre ha dato un duro colpo ad una economia mondiale già in profonda crisi, perchè drogata dall’uso distorto dei mercati borsistici. I Capi di Stato più responsabili, mi pare che Berlusconi non sia fra questi, hanno cercato di spiegare ai cittadini i limiti di uno sviluppo in fase di rallentamento, limitando promesse irrealizzabili. Da noi sappiamo come è andata e come sta andando. Tralasciando il tema penoso della giustizia e limitandoci alla situazione economica è indispensabile che il governo rivede le rosee previsioni, utili alla vittoria elettorale, e parli chiaro agli italiani sui nuovi sacrifici che ci attendono. L’Italia non può pensare di rivedere gli accordi internazionali, per mascherare conti pubblici che vanno riequilibrati con azioni coraggiose che non penalizzino, in tema di sanità e di imposte, chi ha meno risorse. Sono certo che se il governo con un sussulto di onestà parlerà il linguaggio della chiarezza troverà nelle opposizioni una risposta seria e responsabile. Ciò significa in termini chiari limitare le sbruffonate di Tremonti, riaprire il confronto con tutte le forze sociali, affrontare il rapporto internazionale con un nuovo ministro degli esteri all’altezza della situazione.

 

Bologna, 20 agosto 2002                           Maurizio Cevenini

 

Bologna e le primarie

 

Da molto tempo mi chiedevo quando il fantasma delle primarie sarebbe riaffiorato a Bologna a complicare la vita a chi dovrà, al più presto, assumere il delicato compito di sfidante di Giorgio Guazzaloca. Intendiamoci il tema delle primarie è discusso a livelli alti dell’Ulivo, avendo come testimonial Rutelli e D’Alema, e la scadenza nazionale del 2006 potrebbe vedere veramente la designazione del leader attraverso questo strumento altamente democratico. A Bologna siamo pronti per riproporre, in modo riveduto e corretto, l’esperimento del ’99? Se non altro per un fatto scaramantico e di pelle personalmente non sono d’accordo. E forse come me anche gli altri sfidanti della Bartolini, Celli e Paruolo, avrebbero delle perplessità. Mi sono astenuto fino ad oggi dal dibattito sui giornali e solo perché questa rubrica è autogestita avanzo alcune considerazioni. Le primarie in Italia, o in un Comune, possono avere un senso se il meccanismo che le regola permette di portare al voto una larga parte dell’elettorato; militanti dei partiti, dei movimenti, dei comitati sono importantissimi, ma non possono, da soli, dare pienamente il quadro della sensibilità dei cittadini orientati verso uno schieramento, ma con idee sul candidato non collimanti con le preferenze dei dirigenti di partito. Per fare questo, allargando notevolmente la base elettorale, occorre tutelare il segreto del voto anche nelle primarie. E qui si fa complicata anche per il rischio, seppur remoto, d’infiltrazioni dal fronte avversario. Siamo in grado di organizzare un programma così ambizioso senza, come avvenne per il ’99, un esito scontato pur nella validità di un esperimento che difendo? No. Allora non perdiamo tempo in elucubrazioni scolastiche ed impegniamoci tutti nell’individuazione del candidato con le caratteristiche più idonee per raccogliere la convinta adesione dello schieramento ampio del centro sinistra; con l’ambizione di strappare qualche consenso sul fronte avverso. I nomi autorevoli che hanno queste caratteristiche non sono moltissimi. Con i vari movimenti che propongono di accelerare i tempi concordo pienamente per il semplice fatto che, una volta investito, il candidato dovrà proporsi alla città facendo incontri, dibattiti evitando la semplice frettolosa apparizione dell’ultima ora. Per carità il programma è fondamentale, ma la sceneggiatura di un film non è niente se ad interpretarla non c’è l’attore protagonista.

Bologna, 22 luglio 2002

 

Maurizio Cevenini

 

Come vincere le elezioni

 

In questi giorni se si facesse un sondaggio in mezzo a quel settanta per cento (i dati non sono miei, ma di serie società di statistica) di italiani che vivono fugacemente la politica, attraverso scampoli di giornale o di televisione, il risultato sarebbe scontato: Berlusconi governa il Paese, Cofferati è il suo principale antagonista.

Questo a prescindere dal voto espresso un anno fa perché la semplificazione dei messaggi porta a prescindere dal ruolo di governante dell’uno, di sindacalista dell’altro. Viene rabbia a chi, come me, vede il peggior governo che la destra possa esprimere, la caduta dei due principali ministri lo dimostra, in costante difficoltà, che si regge sullo scontro ideologico attorno all’articolo 18. Il Patto per l’Italia è un brutto accordo, anche se penso che la CGIL avrebbe dovuto rimanere al tavolo fino alla fine, pieno di promesse e toccare lo Statuto dei lavoratori, anche se marginalmente, è sbagliato. Il confronto tra le parti sociali è cosa diversa dal ruolo delle componenti politiche; un contratto di lavoro, la strategia per il documento di programmazione economica, la finanziaria devono vedere il ruolo attivo del mondo dell’impresa e del lavoro, con l’obiettivo di raggiungere il massimo di consenso sociale prima dell’attuazione. Poi decide il Parlamento sulla base dei risultati elettorali. E’ su questo che il centro sinistra deve interrogarsi in questo delicato momento, di fronte ai sondaggi di cui parlavo in apertura. Contrastare il governo in modo rigoroso è doveroso soprattutto se, come quello attuale, ha vinto sulla base di messaggi semplici e promesse non mantenute. Non può essere però il capo riconosciuto e autorevole di un sindacato a guidare la coalizione perché quando verrà il momento del voto si esprimeranno in tanti che non si sentono rappresentati solo dalle istanze di quel sindacato. Cofferati, come Prodi, come Rutelli potrà guidare la coalizione dell’Ulivo, è intelligente capace, ma dovrà assumere un ruolo diverso con l’orecchio attento alle istanze di tutte le componenti vive di questo Paese. Opporsi ed essere intransigenti, assecondando i propri iscritti è più facile che candidarsi a guidare un Paese che Berlusconi sta portando alla deriva. I dirigenti del centro sinistra, oltre a punzecchiarsi, dovrebbero riflettere su questa esigenza prioritaria. Si vince, in un sistema maggioritario imperfetto come il nostro, con una coalizione ampia che sappia parlare oltre i propri confini politici. Qualcuno ricorda ancora Prodi nel ’96?

Bologna, 14 luglio 2002

 

Maurizio Cevenini

 

 

Senti... l’attimo che fugge via.

Ormai sono finiti gli esami di maturità. In modo sgradevole, durante la prima impegnativa prova della vita di un ragazzo,di una ragazza "gli esperti" si sono messi a dissertare sulla qualità dell’esame. Avviene ogni anno, ma gli esami, tutti gli esami, rappresentano una prova ardua per coloro che devono affrontarli siano studenti, professori o familiari. E’ con rispetto che voglio salutare tutti coloro che hanno raggiunto questo importante traguardo, con il prezioso contributo di insegnanti qualificati.

Lo faccio con un "abuso di potere" riportando la lettera che mia figlia ha scritto ai suoi compagni:

 

Senti... l’attimo che fugge via.

Sotto una luna arancione, ieri, per la prima volta, ho rimpianto la scuola.

Ho detto addio a tanti amici, che so non rivedrò più ogni mattina per otto mesi l’anno, coi quali non avrò più occasione di litigare.

Ragazzi che spesso avrei preferito non avere come compagni... quando giungono gli addii però tutto si dimentica, a parte cinque lunghissimi, forse troppo lunghi, anni. Cinque anni di complicità contro nemici inesistenti, in cui è stato necessario aiutarsi con denti e unghie per andare avanti in una scuola che non è certo tra le più semplici.

Adesso che davanti a tutti noi si apre una nuova strada, mi domando, è davvero finita l’età della spontaneità?

Parlo di quella spontaneità che fa nascere larghi sorrisi dal nulla, parlo di sguardi persi ed interrogativi di fronte ad un foglio spesso completamente bianco, la spontaneità di sentirsi tutti nella stessa barca, di sentirsi compagni di viaggio.

Mi mancherà la tremarella prima dei compiti condivisa con la compagna di banco, i sogni spartiti sempre a metà. Ricorderò gli amici con cui ho diviso più di cinque formali anni di scuola, coi quali ho vinto alcune, sebbene poche, delle mie insicurezze.

Era quello che attendevo, oggi un capitolo si è chiuso e noi stiamo sbirciando la prima pagina di una vita sconosciuta, non sappiamo cosa accadrà. Sento solo che in un angolo della mia memoria il tempo si è bloccato agli ultimi giorni delle superiori, i più belli, e lì rimarrà, immobile, anche quando avrò tra le braccia un figlio mio, anche quando le gambe non avranno più la forza di un tempo, anche quando non ci sarà più tempo.

Credere, fallire, bruciarsi e tentare di rialzarsi, vincere quasi mai e comunque sempre una "vittoria mutilata"; la vita è questo in fondo.

L’unica cosa che abbiamo veramente è la possibilità di tentare di nuovo, di aiutarci e comprenderci, per ricordare senza rimpianti e rimorsi persone che sbiadiscono sul fondo degli occhi, che si perdono in fondo ad una lacrima.

Solo questo.

Ragazzi, mi mancherete!

 

Bologna. 3 luglio 2002 Federica Cevenini

 

Rispetto per una famiglia

 

Come per il caso Moro c’è chi sostiene che, con l’uscita e il ritrovamento scaglionato di lettere del povero Marco Biagi, stia per aprirsi in Italia un’altra stagione dei veleni. Quando i terroristi colpiscono un servitore dello Stato, obiettivo prioritario di tutti dovrebbe essere la caccia senza quartiere agli assassini, individuando coperture e connivenze che in questi casi sono indispensabili per il progetto criminoso. Invece, senza trarre alcun insegnamento dall’esperienza degli anni di piombo, ancora una volta, ci si concentra nel gioco sterile dello scarico di responsabilità e dell’individuazione di "istigatori della violenza". L’esempio più significativo del nostro modo di operare è la consegna del dischetto a Zero in condotta, da parte di persona affidabile (così sostiene Monteventi) di una serie di lettere scritte da Biagi nei mesi precedenti alla sua morte. Il ritrovamento ha spaccato il mondo politico rinnovando da un lato le accuse d’abbandono sul tema della scorta, dall’altro, in modo più velenoso, il richiamo a responsabilità morali di Cofferati e della sua organizzazione per i toni del conflitto sociale in atto. Nessuno o pochissimo hanno rilevato che, come per il caso D’Antona, pare che gli inquirenti navighino nel buio profondo.

Affrontare di nuovo questi temi è fondamentale per la nostra vita democratica. Siamo alla vigilia di uno scontro sociale importante che passa attraverso la spaccatura nelle rappresentanze del mondo del lavoro. I toni accesi, la scarsa propensione al dialogo sono terreno di coltura per quella minoranza che basa sul terrore e sull’agguato nell’ombra il proprio folle progetto politico. Le Istituzioni, le parti sociali ed il mondo politico in generale devono riflettere su questo.

La cosa più grave in assoluto, però, rimane lo scarso rispetto per il dolore della famiglia Biagi. Se è vero che occorre affrontare tutte le possibili tracce che portino alla verità, non si possono ributtare in pasto all’opinione pubblica anche aspetti intimi, personali di un uomo che ha pagato con la vita la convinzione nelle proprie idee. La moglie e i figli, che forse avrebbero tante cose da dire, hanno scelto un silenzio che merita rispetto. E’ difficile ricominciare a vivere senza una persona cara, ma bisogna farlo; lavorare, studiare, affrontando ogni giorno le attenzioni della gente, anche con intenti positivi, rende difficile e pesante lo scorrere dei giorni.

Bologna, 30 giugno 2002

 

Maurizio Cevenini

 

La credibilità del mondo del calcio

 

Ultima incursione nel mondo del calcio prima della fine di questi mondiali fasulli. Chi li vincerà non avrà alcun rilievo; saranno ricordati invece per gli intrichi, le incompetenze degli arbitri, la mancanza d’autorevolezza internazionale delle potenze del calcio miliardario. 

Questo mondiale era nato sotto una cattiva stella. Lo svolgimento in due nazioni dove il calcio ha l’importanza e il seguito del polo (inteso come gioco a cavallo con bastone), aveva creato sconcerto; a poco erano servite le spiegazioni su una competizione che deve toccare tutte le aree geografiche. 

Non parlo da italiano deluso, ormai ho consumato il lutto della nostra eliminazione, ma da osservatore di uno sport che necessità urgentemente di riforme e d’uomini seri alla sua guida. Trent’anni fa le fasi di gioco si svolgevano al rallentatore, la televisione seguiva l’evento con due o tre telecamere e il peso degli arbitri, sempre determinante, non era verificabile come oggi. 

Questo mondiale potrebbe essere utile se dal disastro partisse un colpo d’ala sull’intero sistema. Intanto il mondo ci ha fatto vedere che in Africa, in Asia esistono buoni giocatori che potrebbero calmierare gli ingaggi dei nostri fenomeni, mentre ci ha confermato che arbitri e collaboratori di Buthan, Togo, Suriname (cito a caso) non possono più arbitrare incontri internazionali. 

Da subito, almeno entro i prossimi Europei, massiccia iniezione di tecnologia in campo: dai sensori sulle porte, alla moviola in campo a disposizione del quarto uomo che richiama l’arbitro nelle occasioni clamorose. Ogni azione terminerebbe senza lo stucchevole braccio alzato del difensore o la recriminazione in attacco, perché, in caso di segnatura basterebbe un minuto per sincerarsi della bontà dell’azione. Forse il gioco perderebbe parte della sua imprevedibilità, ma eliminerebbe incapaci e disonesti e l’arbitro assumerebbe definitivamente quel ruolo sopra le parti che oggi svolge in rare occasioni. 

Alcune parole sull’Italia calcistica. Senza giocare benissimo, e con i limiti del gioco difensivo di Trapattoni, saremmo arrivati tranquillamente alle semifinali. Chi capisce di calcio sa che un gol non fatto, o negato, stravolge un’intera partita. Siamo quindi usciti per le ingiustizie che per i nostri demeriti sportivi. Detto questo appare ancora più grave e sconcertante l’atteggiamento del Presidente federale Carraro, che solo per il fatto di non aver seguito la Nazionale dal primo giorno, se ne dovrebbe andare. In Italia, non solo nello sport, non si dimette mai nessuno, ogni tanto un sussulto d’orgoglio sarebbe salutare. Per gli amici tifosi che mi hanno chiesto un parere sui mondiali, un caro saluto con la speranza di consolarci con un buon Bologna.

 

 

 

Bologna, 23 giugno 2002

 

Maurizio Cevenini

 

 

Il Liceo Fermi e gli esami di maturità

 

Avere una rubrica fissa su un settimanale consente, chiaramente senza abusarne troppo, di recuperare questioni personali che per ragioni di spazio non sono sviluppate in modo ampio dai quotidiani.

Nei giorni scorsi i giornali hanno dato ampio risalto agli sviluppi di una vicenda incresciosa, che ha riguardato gli esami di maturità dello scorso anno al Liceo Fermi.

Secondo l’accusa una o più insegnanti hanno agevolato gli studenti sviluppando il compito di matematica e mettendo a disposizione fotocopie della soluzione.

La mia reazione da padre di una futura maturanda è stata immediata e forte, giudicando l’esplosione di un caso tanto grave, a pochi giorni dagli esami, molto negativo per una scuola di qualità come il Fermi ed offensivo per il corpo docente. Naturalmente nella mia presa di posizione auspicavo che gli accusati potessero dimostrare la propria innocenza come avviene in uno stato di diritto. La sintesi giornalistica ha estrapolato dal mio ragionamento, forse troppo articolato e lungo, l’auspicio finale incasellandomi nella categoria degli innocentisti. Come sempre avviene, la precisazione ha trovato uno spazio marginale, da qui l’esigenza di utilizzare quest’articolo.

Il Liceo scientifico Fermi rappresenta, in questo momento di particolare tensione e d’attacco alla scuola pubblica, uno degli Istituti più qualificati della città e lo dimostra il numero di richieste d’iscrizione ben più ampio delle disponibilità; ciò non è frutto del caso, della tradizione storica, né della collocazione logistica, ma dell’alta professionalità del corpo docente. Per mantenere quest’alto profilo occorre che tutti svolgano le proprie funzioni in modo rigoroso ed ineccepibile. L’aver sostenuto che, in questo particolare momento di vigilia d’esame, buttare in pasto all’opinione pubblica una vicenda incresciosa e dai lati oscuri può essere inopportuno, non significa che la giustizia non debba fare il proprio corso in modo rapido. Se qualcuno, prove alla mano, ha sbagliato deve pagare in modo esemplare. Mi spingo ad affermare che opportunità vorrebbe, anche per tutelare meglio la propria posizione, che le persone coinvolte sospendessero temporaneamente le funzioni fino alla conclusione della vicenda.

Su tutto deve prevalere la credibilità dell’Istituto a tutela e salvaguardia degli insegnati, degli studenti, delle famiglie.

Mi auguro che gli esami di maturità di quest’anno possano svolgersi nella massima serenità.

 

 

Bologna, 15 giugno 2002                                       Maurizio Cevenini

 

 

Ulivo: ultima fermata

 

Mi è capitato in diverse occasioni di scrivere sulla stato di salute della coalizione di centrosinistra a cui appartengo. Molto spesso, e succede a tutti, mi sono fatto trasportare da sentimenti personali che rischiano di incidere sull’obiettività del pezzo. Forse capiterà anche questa volta. Quindici giorni fa si è svolta un’importante tornata amministrativa che ha visto risultati contrastanti e diversi da città e città, ma complessivamente un risveglio del centrosinistra in particolare dove si è presentato unito, allargandosi al contributo di Rifondazione comunista e Italia dei valori. Quando uscirà questo articolo si sapranno gli esiti dei pochi, ma interessanti, ballottaggi in città come Piacenza, Verona Gorizia.

In questo periodo, tra una tornata elettorale e l’altra la politica italiana ha continuato il suo corso su temi vecchi e nuovi, primo tra tutti il tormentone attorno all’articolo 18.

Intanto occorre precisare che la discussione comincia ad essere stancante, visti i ben più gravi problemi che assillano il nostro Paese, a partire dalla situazione economica interna ed internazionale,le difficoltà di ripresa e i seri problemi nella grande industria, i conti pubblici

. Pare però che tutto ruoti attorno all’esito della modifica dello Statuto dei lavoratori.

Due importanti componenti sindacali Cisl e Uil hanno accettato di sedersi al tavolo di trattativa con il governo accontentandosi dell’accantonamento dell’argomento, mentre la Cgil, compatta attorno al suo segretario, ha giudicato pregiudiziale lo stralcio di qualsiasi discussione sullo statuto dei lavoratori. Scontro duro, difficile tra le parti sociali e il governo con questa variabile negativa della divisione tra le rappresentanze dei lavoratori. La prima doverosa reazione del mondo politico e in particolare della sinistra, a mio modesto parere, doveva essere improntato al massimo della prudenza e del rispetto per la trattativa in campo.

Invece, e questo è clamoroso, nel giro di poche ore a partire da Rutelli e via via a seguire tutti i leader della convalescente coalizione si sono buttati, non solo a disquisire sulle scelte delle parti sociali, ma soprattutto a tirarsi reciproche bordate. Ad aggravare la situazione, visto che i giornali hanno colto al balzo l’occasione per evidenziare più il conflitto dei contenuti, il giorno arriva lo stucchevole balletto delle smentite con l’ingresso in campo dei pontieri di turno.

Ma stiamo scherzando? E’ ora che prevalga il senso di responsabilità e chi non ce là si faccia da parte. Per l’Ulivo questa è l’ultima fermata utile prima del capolinea: gli elettori lo hanno capito, tocca ora ai dirigenti eletti o autonominati che siano.

Bologna, 8 giugno 2001

Maurizio Cevenini

 

La testa nel pallone

 

Quando arrivano i mondiali di calcio il nostro Paese vive un mese diverso dal normale; quando per la prima volta, dopo oltre settant’anni, le partite si possono vedere in Europa solo in mattinata si apre un problema che solo superficialmente si può considerare banale.

Nei giorni scorsi, naturalmente in modo paradossale e provocatorio, ho avanzato la richiesta che il Comune di Bologna modulasse gli orari delle proprie attività politiche ed amministrative in funzione delle partite dell’Italia e degli incontri più rilevanti della fase finale. Lo ripete anche sulle pagine di questo giornale che la mia è solo una provocazione per sollevare un problema sentito e per evitare che i pubblici dipendenti cerchino di carpire scampoli di partita dallo spiraglio della porta del proprio dirigente con televisore. Naturalmente non poteva mancare l’intervento del bacchettone di turno, il travolgente Rocco di Torrepadula, che ha richiamato ad un maggior senso delle Istituzioni, agli impegni formali e via seguendo. Ipocrisia pura. Nel Paese che fa dei sondaggi il principale strumento scientifico di analisi della volontà dei cittadini, una verifica porterebbe ad un ampio consenso sulla rivoluzione degli orari per questo mese di giugno. Non è casuale che vi sia stata un’impennata di vendite di minivisori che avevano vissuto un grande declino con la diffusione capillare di computer in case e uffici. Bisogna prendere atto di questo fenomeno che a cicli di quattro anni travolge tutti e crea in ognuno di noi nuove sensazioni. E’ anche un fenomeno culturale il cumulo di informazioni, tra una partita e l’altra, che ci arrivano su Paesi lontani come Corea e Giappone, un tempo il primo suddito del secondo, ed oggi coattori di un evento di dimensione mondiale. Mi sono fatto prendere dalla dimensione del fenomeno generale anche se avrei voluto incentrare questo mio intervento sulla partita inaugurale, lo faccio ora. Francia Senegal a prescindere dallo straordinario risultato sportivo fa sorridere ed apre i cuori pensando a quanto è successo nei mesi scorsi in al di là delle Alpi. Ricordate la grande paura che ha investito l’Europa per l’ondata razzista e xenofoba

Bologna, 1 Giugno 2002

Maurizio Cevenini

 

La difesa del territorio

Bologna è destinata nel prossimo decennio a trasformare in modo radicale il proprio territorio per interventi strutturale di grande impatto; ricordo per brevità i principali: alta velocità, autostrada e tangenziale, tram, metro senza dimenticare il fantasioso progetto di trivellazione della collina e gli ordinari lavori previsti dal piano regolare.

Un impegno pesante, ma indispensabile per Bologna, snodo fondamentale d’attraversamento dell’intero Paese. In questa situazione crescono le preoccupazioni dei cittadini che si vedono privati di sempre maggiori fette di territorio, subendo i disagi che le cantierizzazioni impongono sulle azioni quotidiane di ognuno di noi. E’ comprensibile quindi il proliferare di comitati, più o meno partecipati ed agguerriti, che si formano su singoli problemi e che la giunta di Bologna sbaglia a considerare strumenti di manovra dell’opposizione.

Quando l’amministrazione e i Partiti non riescono a motivare le proprie scelte ai cittadini, questi si muovono in autonomia organizzandosi attraverso gli strumenti della democrazia. La maggior sensibilità ai problemi ambientali è sostenuta dai dati inconfutabili che segnalano condizioni climatiche ed ambientali sempre più critiche per la città di Bologna.

Anche il territorio provinciale ha dei problemi, ma il sovraccarico di traffico incontrollato sulla città e la massiccia concentrazione d’interventi infrastrutturali, aumentano l’allarme. In questo contesto fa impressione la decisione dell’amministrazione comunale di abbattere 700 alberi con la motivazione della pericolosità per malattia; sappiamo benissimo, e i dolorosi episodi degli ultimi mesi lo confermano, che un albero può uccidere, ma è altrettanto vero che una strage di piante preventiva può rendere a rischio l’equilibrio ambientale.

Personalmente ritengo, proprio per le considerazioni esposte all’inizio, che ogni piccola porzione di verde vada difesa strenuamente per contrastare gli inevitabili disagi che i grandi cantieri imporranno. Occorre avere il coraggio, e questo rappresenta un invito anche al mio schieramento politico per il programma delle prossime elezioni, di rinunciare a spese superflue come molte consulenze ed incarichi e investire in salute attraverso la difesa del territorio. Gli affari e gli interventi edilizi devono trovare risposte, possibilmente celeri, ma occorre porre un limite allo sviluppo. Siamo ancora in tempo.

Bologna, 26 maggio 2002 Maurizio Cevenini

 

 

Lasciateci il ciclismo

 

Quando quasi tre anni fa iniziai a collaborare con questo settimanale, il direttore mi affidò una rubrica di calcio che con rammarico ho abbandonato per il ben più impegnativo commento politico. 

Ogni tanto, però, un’incursione nel mondo dello sport mi è concessa ed è il caso di questa settimana che si è caratterizzata per l’ennesima prova elettorale europea vinta dalla destra, dopo la Francia in sequenza Olanda e Irlanda. Dopo l’11 settembre, il mondo, ossessionato dalla paura del terrorismo, reagisce con la richiesta di maggiore ordine e sicurezza e le risposte semplicistiche e in parte demagogiche della destra mietono consensi. 

La sinistra italiana ha vissuto nel dopoguerra molti di questi periodi che hanno rischiato di mandare in depressione molti suoi militanti. Gli sport più popolari sono sempre stati utili, in questi momenti, per supplire alle carenze di risultati sul piano politico; il ciclismo più di ogni altro, basti ricordare il ruolo che le gesta di Bartali in Francia ebbero in occasione dell’attentato di Togliatti.

Fatte le dovute differenze il ciclismo, più del calcio, fino ai giorni nostri ha rappresentato tra gli sport più diffusi la fatica e la generosità. Poi il mostro del doping ha fatto irruzione distruggendo tutto. Poco importa se in tanti hanno chiuso gli occhi quando la bicicletta, sicuramente più leggera, più tecnica faceva volare a 50 chilometri all’ora e le salite venivano affrontate sulle ali del vento. 

Ma, come spesso accade, per battere la malattia, si distrugge tutto. Allora succede che per unire l’Europa s’inventano quattro tappe fuori dai nostri confini e appena si attraversano le Alpi, la classifica la fanno efficientissimi finanzieri e basta una pastiglia per la tosse per essere squalificati. Drogarsi uccide e fare pulizia è stato sacrosanto, ma non si può passare dalla tolleranza totale, supportata da connivenze clamorose, alla persecuzione maniacale. 

Milioni di italiani amano la bicicletta, decine di amministratori pubblici, più o meno convinti, cercano di incentivarne l’uso, il collante è lo sport amatoriale e professionistico. Aiutiamolo a rinascere ricostruendo campioni onesti che vincano con lo sforzo o perché mamma natura li ha creati con la capacità polmonare di Fausto Coppi. Ma non siamo più realisti del re, la medicina e la chimica fanno male, malissimo oltre certe soglie e certe dosi. Ridateci il ciclismo. Perché la gente deve ritrovare i propri campioni, perché la primavera ritorna ogni anno con il giro d’Italia, perché i giovani non devono seguire solo la Ferrari e Valentino Rossi, con il mito della velocità. Perché senza ciclismo si torna a parlare troppo di politica e la gente si deprime.

Bologna, 19 maggio 2002 Maurizio Cevenini

 

 

Divisi alla meta

 

La Francia ha votato il suo Presidente. Il pericolo Le Pen ha portato alle urne un gran numero di francesi di destra e di sinistra per scongiurare la deriva oltranzista. Socialisti, comunisti, ecologististi che quindici giorni prima avevano trovato il modo di diversi in dieci liste, hanno individuato in Chirac la diga per scongiurare il pericolo. 

Non sono così vicino alle vicende francesi da capire se a giugno la sinistra troverà un minimo denominatore comune e proporrà un candidato unico alla guida del governo. Un cosa appare molto evidente: riproporsi divisi vorrà dire sconfitta sicura e, in molti collegi, imporrà nel secondo turno l’appoggio alla destra moderata. 

Vedremo. In Italia la lezione francese ha aperto un’ampia riflessione nel variegato mondo del centro sinistra; come spesso accade l’analisi degli errori è abbastanza puntuale, ma quando si passa alle ricette si fa notte. Più destra-più sinistra, scontro sociale -innovazione e proposta di governo, un occhio al centro-un occhio ai no global e ai movimenti, confederazione – partito unico, ecc. Il tutto porta a un messaggio, molto sentito dalla popolazione, di incertezza e frammentazione che, nella migliore delle ipotesi, convince i militanti della sinistra ad una pausa di riflessione. 

La scorciatoia dei movimenti che riscuotono un buon successo tra i giovani è largamente minoritaria in un Paese che, come gli altri in Europa, subisce il fascino subdolo ma efficace della destra; messaggi grossolani e rassicuranti su ordine pubblico ed economico, difesa degli interessi nazionali, davanti al pericolo del terrorismo e dell’immigrazione senza controllo, penetrano nell’elettorato.

 Il centro destra governa in Italia da un anno e credo che non abbia ottenuto buoni risultati, ma ha aumentato i suoi consensi, perché dà il senso della compattezza dietro al grande capo, mentre la parte degli italiani che non ha votato Berlusconi è sì maggioranza ma divisa sotto diverse bandiere. In questi giorni sono troppi i segnali di rinnovata divisione, tante voci disordinate sono più protese a contestare il proprio alleato dell’avversario.

 Personalmente non so se dovremo aspettare il ritorno di Prodi per riavere un leader del nostro schieramento, ma nell’attesa massacrare Rutelli serve solo a Berlusconi. Sono parole semplici che faranno storcere il naso ai fini conoscitori delle strategie politiche, ma sono quelle che usano i nostri elettori forse perché, più di certi professionisti della navigazione a vista, arrivano dal profondo del cuore.

Bologna, 12 maggio 2002 Maurizio Cevenini

 

Lo Stato democratico

 

Le iniziative della magistratura di Napoli, lontane dalla conclusione, hanno aperto una profonda lacerazione tra i corpi dello Stato, forze politiche e cittadini.

Prima d’alcune considerazione di carattere generale desidero esprimere la mia opinione sulla vicenda specifica.

a) se qualcuno ha abusato del proprio potere, pur con tutte le attenuanti del caso, deve pagare; a maggior ragione se ciò è avvenuto a freddo e non a fronte di scontri diretti.

b) allo stesso modo chi ha violato la legge durante le manifestazioni devono essere perseguito.

c) e’ inspiegabile come provvedimenti gravi di custodia cautelare vengano presi a più di un anno di distanza, dando adito a maliziose supposizioni.

Fatte queste precisazioni ritengo che questa grave vicenda non possa in alcun modo mettere in discussione il principio cardine della nostra Costituzione repubblicana.

La separazione dei poteri tra i corpi dello Stato è la suprema garanzia democratica per un Paese con le nostre tradizioni e la nostra storia; chi, con qualche insistenza, propugna il modello americano, rivendicando la sostanziale sovrapposizione tra potere politico e giudiziario, rischia di alimentare illusorie e pericolose aspettative.

Anche queste situazioni estreme, il magistrato che arresta poliziotti, sono garanzia di ottemperanza alle leggi dello Stato che saranno sottoposte a verifica nei diversi gradi di giudizio. Il sistema non è perfetto e non sarebbe la prima volta che si verificano errori giudiziari, ma gli anticorpi devono venire dal sistema stesso e non da forzature politiche.

Io sono profondamente convinto che le Forze dell’Ordine nel nostro Paese siano fedelmente al servizio del bene comune e ciò è ampiamente dimostrato dal durissimo lavoro che Polizia e Carabinieri svolgono per garantire la sicurezza di noi tutti. Nello stesso modo la magistratura, pur scontando i gravi ritardi nello svolgimento di indagini e processi, è indispensabile per il prevalere del diritto.

Che poi i singoli possano sbagliare o essere in malafede è una degenerazione che va combattuta.

Diventa grave quando, aprioristicamente, forze politiche e addirittura Ministri della Repubblica prendono parte ad un conflitto che si deve svolgere nelle aule dei tribunali con strumenti giuridici.

Personalmente non ho mai usato parole ambigue per giudicare le violenze di Piazza che vanno perseguite proprio per permettere a tutti di manifestare il proprio dissenso senza rischiare sassate o manganellate. Allo stesso tempo nessuno si può arrogare il diritto di andare oltre la legge.

 

 

Bologna, 6 maggio 2002 Maurizio Cevenini

 

Le rappresaglie

 

Ancora una volta in occasione delle celebrazioni dell’anniversario della liberazione, sulla nostra città sono piovute le polemiche, alcune classiche altre nuove. Sul filone classico l’ennesima provocazione dell’onorevole Garagnani che, come amo sempre ricordare, rappresenta un faro di riferimento per quelli dell’altro schieramento politico; quando, infatti, mi succede d’avere dubbi sulle scelte della mia parte politica, arrivano le certezze di Garagnani a convincermi di essere dalla parte giusta. Ancora una volta Garagnani utilizza una ricorrenza che rappresenta l’unità della democrazia repubblicana per tornare sulla polemica degli omicidi del dopoguerra, in particolare nel territorio della nostra regione; iniziativa particolarmente sgradevole all’indomani della visita del presidente tedesco alla comunità di Marzabotto, che ha voluto rappresentare un passo decisivo per la riconciliazione e il superamento di vecchi rancori. L’altro avvenimento è stata la contestazione, prima annunciata e poi attuata, al sindaco della città, da parte dei centri sociali. Il sindaco di Bologna rappresenta l’intera città e in particolare in occasioni ufficiali deve intervenire in nome di tutti. Riconosco a Guazzaloca di aver saputo ricordare l’anniversario della liberazione in modo equilibrato e appare quindi più sgradevole l’azione di disturbo al suo intervento. Il dissenso e la contestazione fanno parte delle regole della democrazia e i politici devono essere preparati a subirli, ma non possono essere azioni indiscriminate e aprioristiche. Il sindaco è sostenuto dal centrodestra e sappiamo che si ricandiderà con questo schieramento; alcune sue dichiarazioni sono state pesanti nei confronti delle opposizioni, delle manifestazioni dei lavoratori e sul piano politico, chi non la pensa come lui, deve dissentire in tutti gli spazi di dibattito democratico.Tutto questo non giustifica un’azione negativa in un’occasione solenne e istituzionale come il ricordo del 25 aprile 1945. Altrettanto negativa e sgradevole è, però, la rappresaglia annunciata da An verso la concessione di spazi ai giovani dei centri sociali per la contestazione. Gli amministratori pubblici devono concedere spazi in base a criteri e valutazioni di opportunità ma non possono mai usare un criterio discrezionale dividendo buoni e cattivi.

Bologna, 28 aprile 2002 Maurizio Cevenini

 

Il protagonista

Giovedì scorso l’Italia e il mondo hanno vissuto, per almeno un’ora, le stesse drammatiche sensazione del terribile settembre di New York. Quel minuscolo aereo penetrato nel grattacielo Pirelli ha dimostrato, ancora una volta, la totale vulnerabilità delle vie aeree e quest’episodio si somma a decine di altri che non si sono tramutati in tragedia per eventi occasionali. Ci deve essere nel terzo millenio qualcosa che impedisca ad aerei di girare sulle città, e qualcuno dovrebbe avere il coraggio di impedire la circolazione d’aerei civili con un solo pilota a bordo.

Un sospiro di sollievo ha attraversato noi tutti quando la tragedia mondiale si è tramutata in dramma personale di pochi, occasionali protagonisti di uno dei tanti fatti di cronaca quotidiana.

Proprio di quest’aspetto vorrei parlare questa settimana.

La stampa, molto di più la televisione, che avidamente consumiamo per ottenere informazioni dettagliate sugli eventi si soffermano sui protagonisti delle sciagure, siano essi Bin Laden o un anziano signore alla guida di un piccolo aereo.

Solo ogni tanto, quasi un’eccezione, si soffermano a parlare di coloro che non fanno notizia anche se coprotagonisti del macabro film della vita.

Con qualche timore per il paragone irriverente avviene esattamente come nella finzione cinematografica, dove tutto ruota attorno all’assassino, alla sua storia, le sue stranezze. L’analisi si fa profonda, sia nella realtà sia nella finzione, quando si vuole indagare sugli aspetti nascosti della personalità del protagonista, creando i partiti a favore e contro, le giustificazioni, le anomalie del fatto.

Si fa eccezione, naturalmente, quando avviene un’esecuzione per la quale manca la mano omicida, e la vittima e i suoi familiari si trovano al centro dell’attenzione.

Tutto questo per dire che nessuno si stupisce se, ad una settimana di distanza, in pochi si ricordano chi fossero Annamaria Rapetti e Alessandra Santonocito; io stesso ho dovuto controllare i nomi per scriverli correttamente, in fondo, neppure il giorno dopo la tragedia, i loro nomi comparivano nelle prime quattro pagine dei giornali.

E’ vero avevano un limite: erano persone normali, con un lavoro, una famiglia come la maggioranza degli italiani. Erano due avvocatesse che per il loro lavoro si erano attardate oltre l’orario classico di un ufficio pubblico, al sicuro nel monumento all’efficienza meneghina.

Ribaltiamo, almeno per qualche momento, il corso dei nostri pensieri rendendo omaggio a queste giovani donne assieme ai tanti "protagonisti occasionali" di situazioni inverosimili che portano a tragedie irrimediabili.

 

 

Bologna, 20 aprile 2002 Maurizio Cevenini

 

Finchè ci sarò io

L’ultima trovata della settimana è dei consiglieri Bignami, capogruppo di AN e Scavone vice di Forza Italia, che, con blitz degno delle forze speciali, in una riunione ordinaria dei capigruppo hanno imposta la procedura d’urgenza di un ordine del giorno che, di fatto, impedirebbe lo svolgimento di tutte le feste di Partito che si svolgono nel territorio di Bologna.

Appena chiuso il congresso di AN che ha sancito da un lato il superamento di vecchie pregiudiziali ideologiche e dall’altro lo stretto legame tra il sindaco di Bologna e i partiti della sua maggioranza, i pasdaran dello schieramento hanno pensato bene di mettere le cose in chiaro.

E’ troppo evidente che le feste dell’Unità, senza nulla togliere ad eventi organizzati da altri, rappresentano un appuntamento tradizionale nella nostra città, vissuto con partecipazione da tanti cittadini di diversa collocazione politica. Si mangia ancora bene, si socializza, se si vuole si parla di politica.

Azzerare quest’esperienza sarebbe quell’atto simbolico che "la destra" vuole dalla Giunta Guazzaloca come segno di discontinuità effettiva dai cinquant’anni di governo comunista, come ama dire Berlusconi.

In solo due anni, di questi attacchi simbolici ve ne sono stati altri ed è bene ricordarli: la cancellazione dallo statuto comunale del riferimento alla resistenza, la definizione di fascista della strage alla Stazione, lo stesso tentativo di infilarsi nella vicenda giudiziaria del Parco Nord.

Intendiamoci la regolamentazione dell’uso dei parchi cittadini è sacrosanta e se occorrono delle modifiche all’attuale regolamento è utile apportarle, ma questo non significa impedirne l’uso temporaneo, soprattutto in aree degradate, e con la garanzia del ripristino delle condizioni di fruibilità.

Adesso verificheremo se il sindaco, ancora una volta, riuscirà a frenare le scalmane della sua maggioranza con la ormai nota frase: "finché ci sarò io non si cambia…"; è molto probabile che questo si verifichi ancora una volta, ma sorge spontanea la domanda, cosa avverrà con l’approssimarsi della scadenza elettorale? E’ molto probabile che An e Forza Italia tatticamente attendano il prossimo mandato per la spallata decisa, perché capiscono che Bologna, votando ancora in maggioranza per il centro sinistra, può essere riconquistata se passerà l’idea che, in fondo, in questi cinque anni è cambiata poco e che basta il sindaco a garantire tutti.

Tocca ai bolognesi decidere se questo è giusto, o vale la pena voltare pagina.

 Bologna, 14 aprile 2002                          Maurizio Cevenini

 

 

Due popoli, due stati

 

Nella settimana di importanti congressi nazionali verrebbe naturale parlare di politica nazionale, ma la polveriera del medio oriente esige la nostra attenzione.

La storia la sappiamo tutti; da oltre cinquant’anni in un piccolo fazzoletto di terra convivono forzatamente due popoli con culture, tradizioni, valori diversi. Guerre e migliaia di morti non hanno posto fine a questa paradossale contraddizione della storia. I potenti del mondo hanno cercato, in più occasioni, di trovare soluzioni e compromessi accettabili per tutti, ma nel momento in cui pareva prevalere il dialogo e la comprensione, una mano oscura e potente dava colpi decisivi al processo di pace.

Sono morti uomini importanti per la pace, da una parte e dall’altra; stranamente in occasione degli attentati vi erano stati strani allentamenti dei servizi di sicurezza e le indagini successive sono state messe rapidamente in second’ordine rispetto all’esplosione delle vendette ideologiche e religiose.

Nel ’77 a Camp David si firmò un accordo fondamentale per la convivenza in quell’area, le grandi potenze, che allora erano due, dettero un contributo fondamentale per la causa della pace; dovevano ancora nascere tutte le giovani vittime che si sono imolate per una causa voluta dai lori nonni, dai loro padri; certamente se fossero cresciuti nel loro stato, nelle loro case, nelle scuole, con le famiglie forse non sarebbero molto diversi dai giovani delle altre parti del mondo.

In queste ore parlano solo le armi, l’odio sta portando da parte di Israele a covare, come unica soluzione, l’idea della distruzione totale del nemico di sempre.

Sharon, più generale che capo di Stato, e Arafat, da tempo incapace di controllare gli oltranzisti, non sono in grado di raggiungere una mediazione; Europa e Stati Uniti, Russia, Lega Araba, purtroppo l’Onu è troppo debole per farlo, devono imporre la pace ad ogni costo, costruendo una forza imponente di interdizione con il ritiro dell’esercito israeliano dai territori occupati, la condanna senza appello del terrorismo e l’arresto dei responsabili degli attentati, senza coperture e ambiguità.

Naturalmente il dramma tocca allo stesso modo due popoli. Chi prende parte alle manifestazioni per la pace, con iniziative provocatorie, schierandosi a favore di una sola parte in causa, a mio avviso, sbaglia e non aiuta neppure il povero popolo palestinese. Gli atti di antisemitismo che si moltiplicano in Europa vanno condannati con decisione.

 

Bologna, 7 aprile 2002                                Maurizio Cevenini

 

Il vuoto dell’aula consiliare

Dopo l’agghiacciante esecuzione di Marco Biagi da più parte si è levata forte la richiesta di attenuare i toni delle polemiche politiche, purtroppo le ultime dichiarazioni sulla vicenda della querela del Sindaco Guazzaloca al consigliere Delbono confermano la volontà di arroccamento sulle proprie posizioni. Dobbiamo quindi prendere atto che quel confronto e il dialogo più volte richiesto dagli stessi cittadini, sui temi importanti che coinvolgono il nostro territorio, non è più possibile. Mi sembra, e lo dico con amarezza, che ci si ascolti solo in occasione delle commemorazioni.

Questo clima non porta consensi alla democrazia ed al civismo, spesso chiamato in causa dallo stesso Sindaco e dai suoi sostenitori.

Creare una situazione di sovrapposizione tra questioni di polemica politica e ricorso alla Magistratura induce a riflettere sulla reale accettazione delle regole del governare in base alla delega elettorale e per conto di coloro che, esprimendo il proprio voto, esercitano un principio base della nostra Costituzione.

Se qualcuno volesse provare a trasformare tutti i giudizi politici che sono espressi nelle aule consiliari in denuncie giudiziarie, si verrebbe a bloccare la Magistratura italiana.

Anche l’ultimo episodio relativo ai problemi di bilancio dei Quartieri cittadini conferma questa volontà di isolamento e di mancato dialogo, com’è avvenuto in occasione dell’Assemblea degli Amministratori della Provincia di Bologna dove si discuteva di problemi della Finanziaria in assenza della Giunta Municipale di Bologna.

Queste considerazioni ed il pesante silenzio di alcune componenti istituzionali, m’induce a ribadire l’inutilità di ogni tentativo di ricomposizione dei conflitti. In questa situazione, l’aula consiliare si riduce a singola testimonianza del proprio parere politico, depositato agli atti, e cioè ad una situazione tipica di ordinaria amministrazione.

Evidentemente, anche se mancano ancora due anni, dovremo rassegnarci ad affidare al futuro Consiglio comunale la ripresa di normali relazioni politico-amministrative.

Voglio ricordare, infine, che questo "degrado" del ruolo del Consiglio comunale colpisce, indistintamente, tutti i consiglieri comunali, allontanandoci dalle tradizioni di buon governo della nostra città.
 

Bologna, 29 marzo 2002                      Maurizio Cevenini

 

Un uomo del dialogo

Cari lettori, questa settimana funestata dalla barbara esecuzione del Professor Biagi desidero riportare la sintesi del mio intervento commemorativo nel consiglio comunale della scorsa settimana. E’ il mio modesto omaggio ad uomo onesto e capace che lavorava per il bene del suo Paese.

"Conoscevo Marco Biagi dal punto di vista professionale per averlo incontrato in diverse iniziative in Confindustria, ma la chiacchierata più lunga la facemmo nel lontano ’96, durante la nascente stagione dell’Ulivo. In quella occasione conobbi un uomo molto preparato sulle tematiche del lavoro e aperto al dialogo tra le parti sociali nella convinzione che ogni riforma, soprattutto le più radicali, deve essere frutto del concorso di tutti.

Per questo motivo non deve stupire che un economista, un intellettuale come Marco Biagi fosse rimasto come consulente anche nel governo Berlusconi. Un riformista convinto, con il pallino per l’Europa, doveva continuare il suo lavoro al servizio del Paese anche nel momento in cui le contraddizioni e il livello di scontro si fanno più aspre davanti a due visioni diverse delle relazioni industriali e della riforma del lavoro.

E’ agghiacciante risentire le parole della sua ultima intervista in merito all’articolo 18, ripetute più volte da tutte le televisioni, nella quale, esponendo il suo parere, misurava le parole pensando ai margini di trattativa che potevano esserci per una soluzione accettabile per imprenditori e sindacati, rivedendo l’originaria proposta governativa.

I terroristi hanno ferocemente ammazzato un uomo di dialogo, di mediazione.

Solo degli ingenui, o in mala fede, possono pensare che il conflitto sociale che sta portando allo sciopero generale, sia la causa scatenante della mano degli assassini; i terroristi possono restare nell’ombra per anni, ma restano militanti permanenti pronti a colpire quando si realizzano le condizioni dei loro folli piani.

Gli obiettivi sono fin troppo chiari: minare le regole democratiche, creare terrore e sgomento nei cittadini ricercando adesioni che con la fermezza di tutti i sinceri democratici non riusciranno ad ottenere.

Non sono casuali le affinità con gli omicidi Tarantelli e D’Antona, altri studiosi servitori dello Stato, consulenti di governi diversi.

Questo deve fare riflettere tutti noi. Il modo di porci di esporre le nostre idee, le nostre convinzioni. La politica non può essere solo scontro che porta all’aridità intellettuale.

Questa ennesima pagina dolorosa di Bologna, l’insegnamento di Marco Biagi, devono essere un monito per tutti.

Non significa arretrare dalle proprie idee ma saper discutere ed avere sempre come obiettivo il bene del nostro Paese."

Bologna, 20 marzo 2002

Maurizio Cevenini

 

Per Ivan

 

Iniziai a scrivere su questo settimanale oltre due anni fa una rubrica di calcio che, onestamente, mi divertiva molto; giustamente, però, l’editore da diversi mesi ha preferito affidarmi uno spazio di commento politico più consono al ruolo che ricopro. Per una volta mi si perdonerà se ho deciso di sfiorare la vicenda sportiva parlando di Ivan Dall’Olio.

Il 18 giugno 1989 in occasione dell’ennesima accesissima sfida tra Bologna e Fiorentina, quattro teppisti gettarono diverse molotov sul treno che trasportava i tifosi del Bologna. Ivan Dall’Olio, un ragazzo quattordicenne, fu investito dall’incendio che avvolse il suo scompartimento e subì danni gravissimi che lo costrinsero a dolorosissimi interventi chirurgici. La giustizia individuò i responsabili che furono condannati ma purtroppo ad essa non fu abbinato alcun risarcimento per Ivan, perché i responsabili risultarono nullatenenti.

Furono anni durissimi e dopo le prime emozioni molti dimenticarono l’odissea di quel ragazzo, simbolo della stupidità e della violenza che circonda il mondo del tifo esasperato.

Ivan, con il rossoblu nel cuore, è tornato allo stadio, a volte anche in trasferta, ma domenica scorsa è stata per lui una giornata diversa, speciale.

La prima mossa la fecero, in occasione della partita di andata, i sindaci di Bologna e Firenze lanciando una sottoscrizione a favore dello sfortunato ragazzo il cui ricavato gli è stato consegnato nella tribuna dello stadio Franchi.

La seconda, sul piano morale, ben più importante è stata l’iniziativa dei consiglieri comunali di Bologna che hanno voluto Ivan nella loro squadra per la sfida con i colleghi di Firenze; fu proprio una partita tra i politici di Bologna e Firenze che sei anni fa lanciò quest’iniziativa con la volontà di stemperare gli animi.

Ivan ha accettato l’invito indossando orgoglioso la maglia rossoblu in una squadra di giovanotti di mezza età più idonei a giocare a biliardo, ma forse per questo più apprezzabili. Davanti gli avversari con quella maglia viola che per lui ha rappresentato il ricordo di un incubo lungo tredici anni.

Sarebbe ingenuo pensare che una partita "scapoli-ammogliati" possa portare il sereno, ma può aiutare.

Corri Ivan, corri, la vita può ricominciare a ventisette anni.

 

 

Bologna, 17 marzo 2002 Maurizio Cevenini

25 anni fa: un ragazzo di nome Francesco

 

Nel marzo ’77, venticinque anni fa, nel modo più assurdo veniva ucciso in via Mascarella un giovane studente di medicina, Francesco Lo Russo. Le dinamiche di quel grave atto di sangue non furono mai chiarite fino in fondo e come sempre accade, quella tragedia sconvolse la città. Seguì una settimana di violenza, senza alcuna mediazione credibile da parte delle istituzioni che sottovalutarono il fenomeno e si arrivò all’occupazione militare della zona universitaria.

Bologna dopo trent’anni vide nuovamente i carri armati in assetto di guerra; si frantumò in quell’anno la vetrina di Bologna, città ben governata e simbolo del comunismo dal volto umano. Tutti perdemmo qualcosa in quei mesi, e il convegno "riparatore" del settembre successivo non riuscì a ricucire il rapporto spezzato tra una generazione e la classe dirigente della città.

Bologna subì negli anni successivi altri atti gravissimi che misero a dura prova la città, ma trovarono risposte convincenti e decise; il marzo ’77 non ha trovato risposta.

Anche questi sono anni di fermento nella scuola, anche a Genova, in condizioni diverse è morto un ragazzo. Lunedì scorso, in occasione dell’anniversario della morte di Francesco, i suoi compagni, i suoi amici lo hanno ricordato con diverse iniziative, oltre all’appuntamento davanti alla lapide che ricorda la tragedia. Già lo scorso anno un gruppo di loro, propose un’iniziativa importante e di grande valore simbolico: l’intitolazione a Francesco di un’aula all’interno dell’Università. Io stesso scrissi al nuovo rettore Calzolari sollecitando un intervento del Senato Accademico in questa direzione, sottolineando che nessun altro luogo avrebbe avuto un’efficacia equivalente per far riflettere i ragazzi e le ragazze di oggi.

Francesco fu una vittima innocente di una ventata d’odio e di violenza. La sinistra, tutta la sinistra, non ha riflettuto abbastanza su quei mesi terribili e un dibattito senza pregiudiziali potrebbe essere utile per capire quegli anni e soprattutto la situazione attuale.

Rinnovo l’invito al rettore perché sia presa in considerazione la proposta di intitolare un’aula o un altro luogo nel cuore dell’Università, alla memoria di Francesco Lo Russo. Un atto utile, a mio parere di pacificazione per tutti, compresi coloro che furono dall’altra parte e chi, come la maggioranza di noi, non prese parte e fu travolta da quegli avvenimenti.

Bologna, 12 marzo 2002 Maurizio Cevenini

 

360 gradi? Non funziona più

 

Nella scorsa settimana sono avvenuti tre avvenimenti simbolici che desidero richiamare nel mio appuntamento settimanale. Ampiamente annunciato da settimane, si sarebbe dovuto svolgere, nel consiglio comunale di Bologna, un dibattito sul lavoro svolto dalla giunta Guazzaloca nella prima parte del suo mandato. Quest’appuntamento non si è svolto per l’atteggiamento della maggioranza, che, attraverso un pretestuoso ostruzionismo, ha allontanato l’avvio del dibattito; da parte dell’opposizione si è ritenuto opportuno ritirare l’argomento giudicando irrispettoso verso l’aula consiliare questo comportamento. Negli stessi giorni "La tua Bologna", la lista del sindaco, ha presentato una propria rivista che giungerà in tutte le case dei bolognesi dal titolo "360 gradi", che richiama lo slogan vincente del ’99.

Terzo episodio, la conferenza stampa di presentazione del congresso di AN, durante la quale il sottosegretario Urso e l’assessore-commissario-parlamentare Raisi hanno motivato la scelta di Bologna in questo modo: "Un evento che segnerà, dopo quella di Fiuggi, una seconda svolta del partito e che si svolgerà nella città delle Torri proprio per ricordare che da qui, con la vittoria di Giorgio Guazzaloca, è partita la svolta della politica italiana a favore del centro destra".

Parole importanti e impegnative che vogliono segnare una presenza politica del più importante partito della destra.

Le tre vicende sono strettamente collegate. La lista del sindaco con Forza Italia e An, forse più di loro, ha rifiutato il confronto con i rappresentanti di metà degli elettori nell’aula di Palazzo d’Accursio, marcando una propria collocazione nel centro destra. Il 2004, anno elettorale, sarà una verifica anche sugli equilibri nazionali, sarà il banco di prova per il governo Berlusconi.

La favola dei 360 gradi ha funzionato una volta verso un elettorato stanco e disorientato da una sinistra divisa e incerta. Forse in molti hanno creduto nella possibilità di un sindaco, eletto direttamente, di rimanere sopra le parti. Riconosco al sindaco di avere fatto alcune scelte iniziali importanti e coraggiose, in particolare in tema di nomine, ma sono bastati due anni per comprendere che il programma del sindaco è, come è giusto che sia nella stagione del bipolarismo, il programma del centro destra.

 

Bologna, 2 marzo 2002 Maurizio Cevenini

 

Bologna si muove

Lo spunto dell’articolo di questa settimana mi viene da un’assemblea di comitati, la tanto citata "società civile", che ha voluto a metà strada fare il punto sull’attività del sindaco Guazzaloca e della sua giunta chiamando a confronto l’on. Garagnani e l’assessore regionale Delbono. La curiosità non sta tanto nelle parole dei due relatori, ma nell’atteggiamento dei partecipanti, tutti iscritti a circoli (Alexis, Cenacolo bolognese di cultura e politica, Bologna dei cittadini, Progetto Emilia Romagna) che hanno sostenuto la campagna elettorale di Guazzaloca.

La sintesi più appropriata di un dibattito che ha raccolto molte proteste sui temi più delicati, traffico sicurezza, progetto di città, è stata fatta dal coordinatore della serata che ha sostenuto "quest’amministrazione non riesce a far volare la città come aveva promesso".

Enfatizzare gli esiti di un dibattito cittadino sarebbe sbagliato, e a maggior ragione se a farlo sono io, ma è la prima volta che elettori di Guazzaloca, in qualche modo organizzati, dichiarano il proprio scontento per l’amministrazione.

E’ presto per dire che sta cambiando l’aria e che il tanto conclamato rinnovamento di Bologna è poca cosa, rispetto alle attese di tanti cittadini che avevano votato per la prima volta uno schieramento diverso.

Le amministrazioni locali, più dei governi, si giudicano per gli atti concreti compiuti. Sono certamente preziose ed importanti le iniziative che recuperano parti fondamentali della nostra storia, le statue, gli artisti, le opere, ma sul lungo si misura la vivibilità d’ogni giorno, le prospettive per la propria città.

Oggi c’è fermento in città, un po’ per le iniziative contro i diritti e le libertà del governo Berlusconi, ma anche per le scelte dell’amministrazione cittadina, "cugina" di quello schieramento.

Poco importa se i cittadini si stanno organizzando da soli, con i partiti un po’ ai margini; ciò che conta è che Bologna si sta svegliando un po’ più stanca e scontenta e chiede, dopo soli due anni, qualcosa di meglio.

Avremo occasione di parlarne molto nei prossimi mesi.

Bologna, 22 febbraio 2002

Maurizio Cevenini

 

L’isolamento di Bologna

 

Accolto con grande entusiasmo dalla Giunta e dai suoi sostenitori è arrivato il via libera del governo al mini metrò, inevitabilmente costosissimo, molto probabilmente insostenibile sul piano economico.

Ma non è di questo che desidero occuparmi; ci sono già stati, e ci saranno, pareri tecnici ben più autorevoli, che accompagneranno le varie fasi della progettazione e dell’eventuale realizzazione, sulla cui fattibilità nutro forti dubbi. Tralascio anche i disagi profondi in cui verserà la città per i prossimi 10-15 anni, ma se fosse a fin di bene si potrebbero accettare, ancor più non voglio entrare nella stupida diatriba tram di sinistra, metrò di destra: la scelta migliore serve a tutta la città.

La questione più rilevante è la cocciuta autosufficienza di Bologna, fin dall’avvio di questo mandato amministrativo, nei confronti degli altri Enti legati al territorio bolognese. Come può una città moderna, nodo strategico per il territorio nazionale, prescindere, nelle proprie scelte sulle grandi infrastrutture, da una visione metropolitana attraverso un accordo organico con Provincia e Regione.

In più occasioni abbiamo cercato di far capire all’amministrazione di centro destra che per tutti noi il bene primario è Bologna e che la sua pianificazione, come fece in modo lungimirante il tanto decantato Dozza, deve vedere il concorso di tutti.

Oggi ci troviamo di fronte all’affanno del vice sindaco, unico a tentare un tardivo gesto di umiltà, che si rivolge a Istituzioni, Fondazioni, imprenditori, per chiedere una mano su un piano finanziario che assumerà dimensioni mostruose, tali da mettere a rischio i bilanci in equilibrio del nostro comune.

Forse non è tardi per un confronto serio e sereno sulle scelte, ma il sindaco e la sua giunta devono invertire, a metà mandato, un atteggiamento isolazionista nelle decisioni ed accettare il confronto su Bologna metropolitana. Nessuno finanzia iniziative di cui non è convinto, soprattutto se non ha concorso alla elaborazione.

Se prevarrà ancora una volta il muro contro muro a rimetterci saranno i bolognesi.

 

 

16 febbraio 2002 Maurizio Cevenini

 

Un film già visto

Mentre il Presidente del consiglio fa audience e si promuove con piccoli episodi, vedi le corna, che aumentano la sua popolarità e nel suo piccolo il sindaco di Bologna fa altrettanto con le carte da briscola, il centro sinistra è nella bufera dopo l’ultimo film di Nanni Moretti.

Sono pienamente d’accordo con chi sostiene che il regista con le sue parole ha dato voce ai tanti elettori delusi dell’Ulivo e che, in fondo, è stato un lacerante disperato grido d’amore. Resta il fatto che come tanti bellissimi film di Nanni Moretti dopo il grido d’amore e di dolore, la severa critica al costume del momento, manca la seconda parte: la riscossa, la risposta.

Questa è la sostanziale differenza rispetto ai film americani, sicuramente più semplici e banali, dove quasi sempre dopo le macerie e il disastro arrivano i nostri, i buoni con il messaggio positivo. Ma gli americani sono più semplici in tutto a partire da quel sistema politico, democratici contro conservatori, che nel bene e nel male rappresenta un modello unico.

Se l’Ulivo avesse, dal ’96 in poi perseguito il modello americano, se non sul piano formale e giuridico, ma sostanziale al suo interno, oggi governerebbe il Paese.

Dov’erano Nanni Moretti e tantissimi altri quando era il momento di questa scelta, ardua e difficile, quando occorreva abbandonare l’orgoglio di partito per il bene superiore nella consapevolezza che un Paese moderato come l’Italia vuole messaggi chiari, coerenti, sicuri.

Qualcuno si è stretto attorno ai DS che esprimevano allora il presidente del consiglio, qualcun altro ha seguito con grande interesse la nascita, altro grave errore, del nuovo partito dei democratici, qualcun altro ha fatto i conti del quorum del 4%.

Abbiamo lavorato tutti, certamente in buona fede, per la rinascita di Berlusconi compresi coloro che lo hanno, con la satira, messo a nudo ma da una posizione aristocratica che fa sorridere il pubblico, ma non raccoglie voti.

Chiamare a raccolta, in una bella e appassionata assemblea, gli intellettuali è sicuramente giusto ma non determinante per la svolta nel centro sinistra. Tutti in questi giorni hanno detto cose giuste: più opposizione, nuovi dirigenti, voce ai cittadini, in pochi toccano la sostanza del problema. Berlusconi ha fatto arrivare il messaggio, sicuramente distorto e basato sulla potenza economica e mediatica, di essere a capo di una coalizione compatta dietro lo slogan libertà e opportunità per tutti; l’Ulivo, dopo aver toccato il fondo con ridicole bizze da cortile, è consapevole che, come s’intravide nel ’96, la lunga marcia per riconquistare il cuore degli italiani passa attraverso una vera unificazione di tutto lo schieramento?

Bologna, 9 febbraio 2002                          Maurizio Cevenini

 

Tutti in campo per Bologna

Dopo il tormentone masochistico delle scorse settimane parrebbe che tra le forze che compongono l’Ulivo abbia prevalso il buon senso. Uso il condizionale perché dietro l’angolo della nostra incredibile coalizione vi è sempre qualcuno che lancia un sasso e innesca un conflitto tutto interno, assolutamente estraneo agli elettori.

Parto da qui per commentare un’iniziativa che sta prendendo piede a Bologna da parte da alcuni esponenti della cosiddetta società civile. Intanto, una volta per tutte, vorrei esprimere il mio parere su uno strano e variegato mondo conosciuto con questo nome e aggettivo aggregato. Per l’opinione pubblica, altro termine in voga e molto pubblicizzato, la società civile rappresenta il contro-canto della politica militante. Da oltre dieci anni, con la pesante colpevolezza dei partiti, è venuto crescendo nel Paese un odio contro tutto ciò che si connota come organizzazione politica, comprese le rappresentanze istituzionali fatte poche eccezioni. E’ straordinario il fatto che quando esponenti della società civile s’impegnano nella cosa pubblica, è il caso di molti sindaci delle città, rischiano in breve tempo di essere considerati militari della politica e perdono buona parte del carisma e del consenso conquistato.

La verità è che, contro tanti luoghi comuni, pur sparendo, anche nei partiti più grandi, la figura del politico di professione è ormai una moda individuare in coloro che più assiduamente sono presenti nel dibattito politico il vecchio, il superato.

Tornando all’iniziativa di Bologna mi sembra positivo che un folto gruppo di cittadini- società civile- che si riconoscono nel centrosinistra voglia dare la sveglia all’opposizione, lanciando la lunga corsa verso il 2004. Fondamentale è remare nella stessa direzione. E’ indispensabile che l’opposizione al governo Guazzaloca sia arricchita da iniziative dei cittadini che cominciano a comprendere come il sindaco, con la sua abilità mediatica, non riesca a nascondere la pochezza della sua amministrazione.

Da ora l’Ulivo deve abbandonare la polemica spicciola con il centro destra e dedicarsi al programma che il candidato sindaco dovrà presentare di porta in porta a tutti i bolognesi.

Candidato che dovremo indicare rapidamente perché lo scontro nei comuni, con l’elezione diretta dei sindaci, si personalizza sempre più e sarà determinante il feeling con la società civile…

Bologna, 3 febbraio 2002 Maurizio Cevenini

 

Per chi suona la campana di Cossiga

Che l’Ulivo sia in un momento di grave difficoltà è ovvio e quasi banale; pare che le sconfitte non insegnino nulla, anzi aiutino a creare spaccature e rancori che dai livelli centrali si allargano pericolosamente verso le periferie, dove è più alto il valore dell’unità della coalizione. Non sapendo come individuare l’antidoto giusto per interrompere la competizione interna al centro sinistra, ritengo di aver individuato il termometro giusto per misurarne lo stato di salute. Basta seguire diligentemente le dichiarazioni e gli atti concreti compiuto dall’ex Presidente della Repubblica Cossiga; premesso che la condizione d’ex e soprattutto di senatore a vita permette di dire tutto e il contrario, senza bisogno di conferma dal voto popolare, cerco di motivare la mia affermazione.

Il senatore Francesco Cossiga, dopo aver deposto il piccone da presidente, ha concentrato le sue iniziative su singoli obiettivi e per alcuni anni, dal ’92 al ’96, i fendenti hanno colpito indistintamente tutti gli schieramenti e i principali protagonisti della politica italiana.

Poi, quasi d’improvviso, mentre cresceva la voglia di grande centro nel suo club, l’interesse del nostro si è concentrata quasi esclusivamente sullo schieramento che contro ogni previsione vinse le elezioni. E piano piano, con le collaborazioni occasionali di Bertinotti, è venuto quel maledetto ottobre del ’98 con la caduta del governo Prodi. Ecco Cossiga con l’ennesimo alleato occasionale Mastella e con il suo partito virtuale pronto a sostenere il governo D’Alema, purché non si parlasse più d’Ulivo. Furono i mesi che saranno ricordati per la dotta disquisizione sul trattino da mettere tra centro e sinistra e per la demolizione del sistema bipolare, unica speranza di vittoria contro l’alleanza anomala che stava preparando Berlusconi. Pochi mesi e Cossiga rompe il giochino e via con il D’Alema 2, Amato… e ancora Cossiga che con le sue dichiarazioni demolisce i leader del centro sinistra a partire da Rutelli.

Ma la genialità dell’uomo, forse pari alla credulità di chi regge le sorti del centro sinistra, è di mettere di volta in volta in competizione e scontro, vedi l’indicazione per la convenzione europea, D’Alema e Prodi, Rutelli, Amato, Fassino.

Un meccanismo talmente perfetto che permette di cadenzare le crisi, ahimè, sempre più frequenti, quanto inutili; e l’Ulivo, o quanto ne resta, fermo nella attesa che Cossiga decida per chi suona la campana.

Bologna, 27 gennaio 2002 Maurizio Cevenini

 

Senza sbagliare una mossa

Quest’anno iniziato all’insegna dell’irrequietezza sul piano politico nazionale- giustizia, Europa, rapporti di lavoro-presenta, a primavera, un appuntamento significativo ed importante.

Molti comuni, sfalsati rispetto alla scadenza degli altri, dovranno rinnovare le amministrazioni e nella nostra regione saranno toccati comuni particolarmente significativi: Parma e Piacenza sul territorio vasto, Budrio e Porretta, per limitarci, alla nostra Provincia.

Come sempre le scadenze amministrative intermedie rappresentano un banco di prova per i Partiti perché permettono, anche se elezioni non omogenee, di valutare il consenso.

In particolare, com’è avvenuto per Parma e Piacenza, nel mezzo del cammino del governo dell’Ulivo, si creò una frattura nel rapporto tra cittadini e centro sinistra nella regione più rossa in molti pensare ad un’onda lunga, irreversibile, che avrebbe cambiato il volto dell’Emilia Romagna; a distanza di poco Bologna confermò pienamente questa tendenza.

A Parma, Piacenza, seppure terre di confine con la Lombardia e quindi di tradizione diversa, e successivamente anche a Bologna il centro sinistra che aveva governato bene quelle città commise il tragico errore di adagiarsi nella routine nei rapporti con i cittadini, elemento fondamentale e prioritario delle forze di sinistra. Con minori mezzi economici delle falangi berlusconiane, sottovalutando la forza innovativa di candidati civici, la sconfitta fu bruciante e inevitabile.

Dopo quelle scadenze vi furono, però, altre prove elettorali e i cittadini di questa regione hanno mandato un altro segnale preciso premiando nuovamente i candidati del centro sinistra.

Io credo che questi candidati civici, strettamente organici al centro destra, non abbiano fornito prova di buon governo che non siano riusciti a presentare una nuova classe politica più forte e credibile.

A primavera vedremo come andrà, ma per l’Ulivo vi è una certezza: per vincere occorre presentare il candidato più forte con una squadra coesa e vogliosa di battere a palmo a palmo la città con un programma serio e credibili.

Parlo di queste città perché, con quelle sfide elettorali, inizia la lunga marcia d’avvicinamento alla scadenza anche per Bologna. Siamo a metà strada e, fuori dalle chiacchiere, le tante promesse che hanno portato molti bolognesi a dare fiducia al centro destra, sono sempre più simili al milione di Berlusconi.

Ancora una volta, come avvenne con Prodi nel ‘96, la scintilla della ripresa del centro sinistra può partire dalle nostre città.

Bologna, 20 gennaio 2002                            Maurizio Cevenini

 

Senza Ministro degli Esteri

A fine anno dedicai, con qualche entusiasmo, all’avvento dell’euro il mio articolo; un primo passo per giungere all’unità politica dell’Europa presupposto per un ruolo autorevole del nostro continente. A distanza di pochi giorni il nostro Paese ha dato di sé un’immagine squallida e negativa prima con le bordate contro la moneta comune di Bossi e Tremonti, poi con l’allontanamento del ministro più autorevole del governo.

Dall’insediamento del Governo Berlusconi sono stati molti i passaggi di politica internazionale che hanno presentato conflitti tra ministri e dichiarazioni ambigue, ampiamente evidenziate dai governi e dalla stampa estera.

Oggi ci troviamo senza il Ministro degli Esteri, perché l’interim di Berlusconi è un ripiego ridicolo per le esigenze che le relazioni tra i governi impongono.

Non voglio affrontare il merito politico dell’esclusione di Ruggiero perché mi pare fin troppo chiaro che questo governo ha poca fiducia nell’unità politica dell’Europa e non è riuscito a nasconderlo.

Accusare di essere di sinistra Ruggiero, a parte che non sarebbe certo infamante, è semplicemente ridicolo per un tecnico che ha svolto importanti e strategici incarichi da parte di governi conservatori in anni non sospetti. Molto più banalmente Berlusconi ha più bisogno di Bossi, Castelli, Maroni che dell’autorevole Ruggiero.

Tornando al problema principale, vorrei ricordare che gli impegni del Ministro degli Esteri per i prossimi mesi imporrebbero a Berlusconi di girare il mondo affrontando problematiche delicate, in contesti sempre diversi per cultura, religione, esigenze locali. In pochi mesi Berlusconi ha collezionato una serie invidiabile di gaffe, memorabile quella sull’islam.

Si sbrighi a dare all’Italia un ministro, possibilmente credibile e che sappia usare le armi della diplomazia più di quelle del portafoglio.

Sbagliare un servizio o un’opera pubblica nel proprio Paese è grave, distruggere le relazioni internazionali è molto molto più grave.

 

Bologna, 12 gennaio 2002

Maurizio Cevenini

 

PILASTRO: 11 ANNI DOPO

Il 4 gennaio 1991, all’apice dell’azione assassina della banda della Uno Bianca, in una npilastro2002 002.jpg (43697 byte)otte umida e nebbiosa, venivano trucidati Mauro Mitilini, Andrea Moneta, Otello Stefanini tre giovanissimi carabineri. Come sempre in Italia, non tutto è stato chiarito con la cattura degli assassini e molte ombre rimangono ancora su quella catena di delitti. Bologna, dopo le stragi terroristiche, veniva nuovamente attaccata nel cuore di un quartiere che fino a quel giorno veniva considerato un corpo estraneo della città. Non fu un caso se le prime indagini della magistratura si concentrarono su alcuni residenti che, seppur con alcuni precedenti penali, apparve immediatamente inverosimile potessero aver compiuto un crimine così efferato. Ci volle la piena confessione dei Savi per scagionarli definitivamente.pilastro2002 015.jpg (161117 byte)

Ma da quell’episodio di sangue, dal sacrificio di tre giovani carabinieri, il Pilastro seppe risollevarsi ed oggi possiamo dire che l’integrazione con la città è piena.pilastro2002 042.jpg (50008 byte)

C’era tanta gente, più d’altri anni, in occasione dell’11° anniversario della strage; forse perché per la prima volta il ricordo si abbinava ad un fatto di vita, di rinascita. Attorno al luogo dell’eccidio è iniziata la riqualificazione del parco che oggi vede assieme al cippo commemorativo un’opera del maestro Achille Ghidini dal titolo significativo "verso il futuro".

Credo che far rivivere un parco, un quartiere sia l’atto concreto più bello per ricordare quei ragazzi colpiti da mani che dovevano essere amiche.

Voglio lasciare parte di questo mio spazio alle parole di Carmen Giuliano, dipendente comunale, che in una breve poesia ha voluto ricordare quel sacrificio:

MEMORIA DI UNA STRAGE: a Andrea, Mauro, Otello

Erano tre amici, fratelli,

compagni di un tragico destino.pilastro2002 051.jpg (41273 byte)

L’inno solenne s’alza nell’aria gelida.

Migliaia di fantasmi spingono in calca per l’estremo saluto.

Giovani simili ai morti:

un’unica divisa,

un viso innocente,

gridano in silenzio

contro gli orrori della vita,

il loro sguardo velato

si perde in mare di lacrime e sangue.

 

L’Europa unita

L’anno che inizia presenta la grande novità della moneta unica; come abbiamo letto in tutte le salse, trecento milioni di cittadini saranno accomunati da un unico veicolo di transazione finanziaria che renderà più libera e trasparente ogni nostra operazione. Molto probabilmente, dopo un’iniziale titubanza e sospetto, si dispiegheranno enormi potenzialità non solo sul terreno squisitamente economico, ma anche nei rapporti sociali in particolare tra i giovani europei. Tutto questo nasconde, però, una grave insidia legata all’ambiguità del messaggio collegato all’euro: l’aver raggiunto l’unità europea.

Quella purtroppo è ancora molto lontana; non solo perché dodici Paesi, per ora, aderiscono alla moneta unica ma soprattutto perché è ancora lontana l’unità politica. Il Parlamento Europeo, rappresenta solo una passerella di rappresentanze, soggetto a vincoli e veti, che ne frustrano l’attività; la stessa commissione guidata brillantemente da Prodi è costantemente frenata dalla sovranità dei governi nazionali.

Nel terzo millennio, inaugurato con la tragedia dell’11 settembre, l’Europa deve puntare decisamente all’unità nella politica economica, nella difesa, nell’articolazione dei diritti sociali.

Abbiamo potenzialità enormi che, frazionate nei confini e negli egoismi nazionali, si disperdono. Solo nel campo dell’istruzione, della salute, della ricerca raggiungeremmo in tempi rapidissimi vette inaspettate.

L’obiettivo può sembrare ambizioso, ma lo era anche la moneta unica.

L’Europa, ai confini con i continenti caldi d’Africa e Asia, può ambire ad un ruolo strategico per l’equilibrio internazionale con e più degli Stati Uniti, allentandone il ruolo esclusivo di guardiano del mondo.

Anche sul piano squisitamente politico ci sarebbe un arricchimento con un alternanza di governi riformisti e conservatori che delineerebbero gli scenari strategici, senza immiserire le peculiarità nazionali.

Il messaggio è rivolto soprattutto ai giovani, più abituati della mia generazione, a vedere oltre i confini del proprio Paese.

Sia un buon anno per tutti noi.

 

Bologna, 31 dicembre 2001

Maurizio Cevenini

 

 

 

Si comincia così

L’iniziativa incredibile dell’onorevole Garagnani ha trovato le giuste risposte dal mondo della scuola; la stragrande maggioranza di studenti, insegnanti, genitori ha risposto, in modo civile, ma con grande decisione all’invasione di campo del consigliere-parlamentare. Anche dal suo schieramento politico sono arrivate prese di posizione chiare contro il telefono-spia, arbitrario strumento di delazione contro le scuole bolognesi.

Pareva quindi, a parte l’increscioso episodio della torta in faccia, che tutto contribuisse a ridimensionare un’iniziativa irresponsabile e personalistica lasciando al mondo della scuola il dibattito sulla riforma Moratti che già di per sé rappresenta un passaggio di particolare tensione.

Come un fulmine a ciel sereno, invece, nei giorni scorsi sono piombati in città ispettori del Ministro per interrogare Presidi, insegnanti, studenti sulla vicenda smossa da Garagnani. Fatto assolutamente nuovo e soprattutto grave che non trova precedenti nel mondo della scuola.

Pare che neppure il Provveditore agli studi fosse informato sul blitz e quella che doveva essere un’azione isolata sembra ora trovare consensi addirittura al più alto livello.

Davanti all’azione decisa dei massimi dirigenti locali della scuola, l’episodio è stato notevolmente ridimensionato attraverso imbarazzate dichiarazioni di ministri e sottosegretari ma rimane una sensazione d’azione di regime, d’assaggio di ben più pesanti normalizzazioni.

Chi mi conosce sa che amo definirmi persona d’equilibrio, di mediazione e cerco sempre di attenuare i toni dei conflitti, come feci, da esponente della presidenza del consiglio, quando si tratto di prendere provvedimenti drastici contro l’iniziativa di Garagnani.

Ora però sommando i provvedimenti annunciati da questo governo in tema di giustizia, federalismo e oggi sulla scuola sento crescere un disagio profondo.

Forse è un’esagerazione ma ricordo che la limitazione della libertà in un Paese parte sempre da episodi modesti, a piccole dosi, per giungere a scelte più gravi che ledono importanti diritti acquisiti.

Il ruolo dell’opposizione è straordinariamente utile in questi momenti per non fare addormentare nell’assuefazione i cittadini che, forse con troppa leggerezza, si sono affidati a questa cosiddetta nuova classe dirigente.

Bologna, 16 dicembre 2001 Maurizio Cevenini

 

La giustizia

Sarà anche vero che i buoni rapporti del centrosinistra, costruiti in cinque anni di governo, possono influenzare i giudizi stranieri sul governo Berlusconi, ma su quest’ultima vicenda della giustizia sta avvenendo un fatto gravissimo.

Da Londra, Parigi, Bonn, Madrid e da altre capitali governate da destra o sinistra arrivano pesantissime critiche all’Italia che non accetta l’accordo sul mandato di cattura europeo. Cui prodest? si chiede il quotidiano conservatore spagnolo Abc se le resistenze italiane non riguardano il terrorismo ma la repressione di altri delitti (frode, corruzione, lavaggio di denaro sporco; il quotidiano si spinge ad affermare che è ingiusto e triste che le prospettive personali di un solo uomo europeo possano passare prima degli altri 377 milioni; El Pais parla di chiare manovre di protezione per Berlusconi e suoi collaboratori, El mundo parla di mancanza di solidarietà internazionale da parte dell’Italia. Il Finalcian Time abbina quest’atteggiamento alla volontà di riformare la giustizia in Italia, dando il senso di voler piegare la magistratura al potere politico, e il Times titola secco: l’Italia blocca gli accordi sul mandato di cattura europeo.

Sullo stesso tenore le più importanti testate francesi, inglesi, tedesche e perfino il Portogallo reagisce sdegnato.

Ho volutamente citato alcuni passi di giornali che non possono essere additati di benevolenza verso la sinistra per sostenere che l’Italia, patria storica del diritto e rappresentata oggi dal Ministro Castelli, sta scegliendo di chiudersi a riccio attorno ai modesti interessi di bottega.

Il rischio reale che i grandi sacrifici richiesti agli italiani per l’ingresso nella moneta unica siano invalidati da questa posizione assurda, comprensibile solo con la malizia con cui ci descrivono i giornali stranieri.

Uno Stato democratico deve mettere davanti a tutto l’interesse supremo della collettività, il voto degli elettori serve a questo.

Se si pensa che alcuni giudici abbiano abusato del proprio ruolo ci sono forme giuridiche praticabili per giudicarli; ma il valore della separazione tra gli organi dello Stato va difeso da tutti gli italiani, a partire da coloro che hanno dato fiducia a Berlusconi e al centrodestra.

 

Bologna, 7 dicembre 2001

Maurizio Cevenini

 

Il telefono spia

Ho già avuto occasione di affermare che l’on. Fabio Garagnani è l’avversario politico ideale.

Pur provenendo dalla tradizione democristiana non ha raccolto nulla del linguaggio involuto e indiretto, classico di quasi tutte le componenti del partito di Andreotti, Fanfani, Rumor.

In queste settimane, però, credo sia riuscito a superare se stesso e quasi più di Taormina è riuscito a mettere in imbarazzo anche i più oltranzisti di Forza Italia.

Dopo la religione, non a caso è la scuola il suo pallino e soprattutto i programmi d’insegnamento nei vari livelli d’istruzione.

Tutti sanno che il nostro ha attivato una linea telefonica sulla quale ha invitato il variegato mondo della scuola a far pervenire denuncie sui professori, per lo più comunisti, che, durante le lezioni, avrebbero criticato il governo Berlusconi o travisato il corso della storia. Pare che la stessa lettura di giornali stranieri possa rappresentare un pericoloso veicolo di propaganda contro il pensiero"giusto".

Alcuni prudenti colleghi di partito hanno cercato di ridimensionare l’iniziativa che ha innescato molte reazioni negative, al punto che pare prevalgano le telefonate di protesta, se non peggio, ma Garagnani non ha paura di nessuno e ha reiterato la proposta in un’apposita conferenza stampa.

Il tutto avviene in un momento particolarmente travagliato del mondo della scuola alle prese con una contestata riforma dibattuta tra autonomia e livelli più o meno ampi di privatizzazione.

Il caso da locale si è trasformato in nazionale, attraverso interpellanze e inchieste della magistratura e potrebbe prendere pieghe imprevedibili.

A differenza di altri non riesco a prendermela con Garagnani perché trovo in quasi tutte le sue argomentazioni il motivo e la forza per stare dalla parte opposta; ma in particolare perché Garagnani dice sinceramente e apertamente quanto molti esponenti del suo schieramento politico pensano e vorrebbero fare.

Senza fare paralleli impropri ritengo che quando si comincia ad ipotizzare il controllo degli insegnanti e perché non degli organi di informazione si profila un futuro buio per il nostro paese.

Bologna, 1 dicembre 2001 Maurizio Cevenini

 

La lunga marcia di Fassino

Con il congresso di Pesaro si è chiuso un lungo periodo di riflessione e dibattito nel principale partito della sinistra. E’ stata una fase particolarmente difficile, attraversata da eventi straordinari sul piano interno ed internazionale, durante la quale ha fortemente pesato la mancanza di una guida chiara nel Partito. Guida non significa comandare, soffocando i dibattiti e le diverse posizioni, ma aprire una stagione nella quale le incertezze degli ultimi mesi devono lasciare il posto a scelte chiare e univoche. Continueranno ad esserci valutazioni diverse ma un partito nuovo più agile dovrà scegliere e sottoporre all’alleanza e al Paese la sua posizione.

Naturalmente la volontà di mantenere un partito di massa impone un coinvolgimento rinnovato degli iscritti ed elettori, prevedendo rapide consultazioni, anche con espressioni di voto, sulle principali scelte del Partito; qualche segnale positivo si è visto nella partecipazione ai congressi anche se questi hanno avuto il limite di impegnare le maggiori risorse nella scelta tra gli uomini.

Ma il metodo è quello giusto perché per stimolare interesse e partecipazione occorre il coinvolgimento nelle scelte.

Il congresso, come hanno fatto rilevare in molti nel dibattito, ha enunciato per l’ennesima volta la svolta socialdemocratica; ora è giunta l’ultima prova d’appello: occorre darne pratica applicazione.

Ciò significa, e questa è la sfida più importante per Fassino, abbandonare vecchi luoghi comuni della sinistra comunista ed affrontare la lungo marcia, che con difficoltà ma con successo, hanno affrontato i partiti della sinistra in Inghilterra, Germania, Francia.

Tutti i tabù sono caduti e sulla politica internazionale, l’economia, le dinamiche del diversificato mondo dei lavori è necessario parlare il linguaggio di una forza di progresso e solidale che si assume responsabilità di governo; non può essere confusa e disordinata protesta, strumentalmente indirizzata ad assecondare sempre e comunque i movimenti giovanili.

 

 

 

Bologna, 25 novembre 2001 Maurizio Cevenini

 

Dozza, sindaco di sinistra

Capita ogni tanto che Alessandra Servidori, gradevole compagna di banco in queste rubriche, tocchi argomenti che stuzzicano il mio interesse e viceversa.

In particolare, la scorsa settimana, Alessandra ha elogiato l’iniziativa del sindaco Guazzaloca per la commemorazione dei 100 anni dalla nascita di Giuseppe Dozza, il più amato dai bolognesi; condivido pienamente il giudizio anche se mi permetto di affermare che per un personaggio che ha segnato per oltre vent’anni la vita della nostra città si sarebbe potuto svolgere un consiglio comunale. D’altronde il vice sindaco ha commesso l’errore di annunciarlo con troppo anticipo e questo ha scatenato la reazione scomposta di An e Forza Italia, costringendo al ridimensionamento dell’iniziativa.

Giuseppe Dozza visse i suoi momenti più significativi nell’aula consiliare, pronunciando i discorsi più importanti, confrontandosi con gli avversari che contrastava ma rispettava, votando i provvedimenti più rilevanti per il futuro di Bologna.

Non crollerà il mondo se lo si ricorderà in altra forma e resta la positività dell’iniziativa.

Approfitto del tema per esprimere una mia valutazione stimolato, come dicevo, dalle parole di Alessandra. Dozza fu un sindaco molto amato dalla città, che ottenne significativi consensi anche da ambienti lontani dal Partito comunista italiano ma è altrettanto onesto ricordare che sul piano politico era uomo di parte, ed in quegli anni in città era espresso un forte consenso alle forze della sinistra anche nelle votazioni di carattere nazionale. E’ utile ricordare che in quegli anni Dozza era capolista Due Torri e, pur prendendo una valanga di preferenze personali, era votato sindaco dal consiglio comunale nella sua prima seduta (altro motivo per ricordarlo durante un consiglio); faccio questa precisazione per chiarire, non certo ad Alessandra che lo sa bene, che Dozza vinse le sue battaglie elettorali sostenendo un progetto politico preciso di sviluppo della città alternativo alla Dc, allora egemone nel centro destra. Dozza, uomo di sinistra a tutto tondo, non mostrò ambiguità né titubanze nei confronti dei suoi avversari e fu sostenuto dalla maggioranza con grande compattezza, fin troppa in quegli anni. Altra cosa fu il confronto consiliare che portò a punti alti di elaborazione politica e amministrativa, con il coinvolgimento delle minoranze sui grandi progetti per la città.

I confronti con la situazione odierna sono impropri perché ci troviamo davanti ad un sindaco, abile, a cui va riconosciuta una buona indipendenza dalla sua maggioranza di centro destra, che ha conquistato voti in una città che ancora oggi premia il centro sinistra. Da qui la forte irritazione dei suoi sostenitori ogni volta che si deve ricordare una pagina "rossa" di Bologna.

 

Bologna, 18 novembre 2001 Maurizio Cevenini

 

La guerra e la bandiera

La scorsa settimana il Parlamento Italiano è stato chiamato ad un voto impegnativo sull’invio dei nostri soldati in Afghanistan; per la prima volta dopo cinquant’anni il nostro Paese entra direttamente in un conflitto armato. Nelle ore immediatamente successive gli italiani si sono divisi in manifestazioni molto diverse, il polo a piazza del Popolo con le bandiere americane, i noglobal ed altri contro ogni partecipazione al conflitto, l’Ulivo con altre forme articolate d’adesione alla scelta del Parlamento. Secondo le varie stime si va da una partecipazione complessiva di duecentomila persone ad un massimo di duecentocinquantamila circa, per lo più aderenti a partiti e movimenti in qualche modo organizzati.

Il mio primo pensiero va quindi ai milioni d’italiani che hanno subito la scelta senza manifestare pubblicamente il proprio assenso o dissenso, delegando al Governo e al Parlamento le scelte gravi di questi giorni. Di tutte queste persone sentiamo parlare nei sondaggi, più o meno stravaganti, che sono presentati da giornali e televisioni ma nessuno conosce veramente il polso dei giovani, degli anziani, di donne e d’uomini, che, anche se non hanno sfilato nei cortei, si sono fatti delle idee precise dopo l’11 settembre.

Allora non mi costa nulla avventurarmi in un parere senza l'ambizione di chi è avvolto nelle certezze.

Chi ha vissuto l’ultimo conflitto, e sono ancora tantissimi, ricordano con orrore la guerra e nei loro racconti si comprende la tensione di chi vede il grande pericolo di queste ore; vedere o immaginare i bombardamenti su popolazioni inermi fa rivivere quei duri anni di un’Italia stremata resa campo di battaglia strategico tra tedeschi e alleanti. Gli altri, più o meno giovani, si vedono crollare addosso le certezze di chi ha vissuto i conflitti nei telegiornali e nei film. Per tutti c’è la consapevolezza che il nemico può colpire in ogni momento e, anche non volendo, i nostri movimenti sono condizionati dal pericolo di un attentato, di una ritorsione.

Credo che la maggior parte degli italiani ritenga, e io con loro, che questa sporca e maledetta guerra in Afghanistan sia inevitabile e sarebbe meschino chiamarsi fuori; i generici appelli alla pace con la speranza che metta tutto a posto 007 o Rambo, sono una fuga dalla realtà.

Il Paese sia unito dietro le parole equilibrate del Presidente della Repubblica: accogliamo il suo appello alla riscoperta della nostra bandiera simbolo d’unità e tolleranza,con la speranza che le bombe lascino presto il posto ad un nuovo equilibrio di pace.

 

 

Bologna, 12 novembre 2001 Maurizio Cevenini

 

Il muro di Berlino

Nei giorni scorsi ho avuto occasione di ascoltare un’intervista rilasciata, poco prima di morire, da Indro Montanelli a Ferruccio De Bortoli sui fatti del novecento. Bella e intensa perché ha messo in luce le grandi contraddizioni del Montanelli liberale, prima fascista poi avversario del regime, anticomunista ma con grande rispetto per i grandi che hanno fatto la storia a prescindere dalla scelta di campo. Mi ha particolarmente colpito la scarsa enfasi con cui ha parlato, seppur velocemente, della caduta del muro di Berlino e questo mi sollecita ad una provocatoria considerazione.

Il 1989 ha rappresentato per il mondo, con la caduta dell’impero sovietico, un momento importante per la democrazia; moltissimi cittadini hanno potuto assaporare il piacere della libertà d’espressione, di ricerca, di movimento ma allo stesso tempo la durezza del mercato affrontato da condizioni sfavorevoli.

Si sono creati, o ricomposti in pochi mesi Stati che hanno avviato il difficile cammino del governo democratico; paradossalmente, in molti di questi Stati colpiti da dure crisi economiche i partiti comunisti interni hanno ottenuto anche significativi successi elettorali.

Statisti, economisti, politologi, votati all’ottimismo, hanno teorizzato l’avvento di un nuovo equilibrio mondiale basato sulla crescita e l’emancipazione dei popoli con il solo dubbio sulla presenza ingombrante di una sola super potenza che poteva sbilanciare l’intero processo.

Qui scatta il mio dubbio.

Due anni dopo la caduta del muro è avvenuto un episodio di guerra mondiale con la vicenda del Kuwait, a distanza di poco è esplosa la polveriera Jugoslava, senza dimenticare i conflitti, più o meno gravi, in tutte le repubbliche ex sovietiche e i continui focolai di guerra in Asia e in Africa.

Poi è arrivato l’11 settembre e i passi successivi con l’intervento armato e il terribile richiamo mussulmano alla guerra santa.

Tutto questo sarebbe successo con il muro di Berlino ancora in piedi? Il terribile equilibrio del terrore, che ci ha accompagnato da Yalta in poi, aveva in sé la forza per continuare a tenere sotto controllo le tante forze etniche, religiose, fanatiche che oggi stanno prepotentemente insidiando la sopravvivenza del mondo?

Sono considerazioni terribili e ciniche, soprattutto tenendo conto del moto di liberazione che la caduta del comunismo ha attivato, ma drammaticamente realistiche.

I popoli e in particolare chi li governa non sono mai preparati alle grandi accelerazioni della storia e la caduta del muro, addosso ad ognuno di noi, ci ha svelato la debolezza di un mondo disseminato d’ordigni nucleari e batteriologici in mano a movimenti instabili, distratto da uno sviluppo disordinato ed inquinante. Sconvolgente nell’anno uno del secolo nuovo.

Bologna, 1 novembre 2001 Maurizio Cevenini

 

Il cerchio si stringe

Anche questa settimana sarebbe doveroso occupare tutto lo spazio sulle vicende internazionali che ci angosciano, ma ancora una volta divagare può essere utile se non divertente.

Nella notte di lunedì della scorsa settimana, mentre sui cieli di Kabul gli aerei continuavano i bombardamenti che tragicamente coinvolgevano anche la popolazione inerme, il consiglio comunale di Bologna era alle prese con l’ennesimo ordine del giorno dell’inesauribile Rocco di Torrepadula. La settimana trascorsa ha ampiamente riportato l’esito di quella votazione che, riportando alla luce la dolorosa vicenda della strage alla stazione, chiedeva di rimuovere il segreto di Stato, più risarcimenti alle vittime e si concludeva, qui il fattaccio, con la richiesta di cancellare la matrice fascista dalla lapide. Poche ore dopo l’esito del voto, come avvenne sull’ormai famoso episodio sulla resistenza, il Sindaco Guazzaloca sconfessava la sua maggioranza, almeno coloro che erano presenti in aula, annunciando di non avere nessun’intenzione di modificare la scritta, anche se è bene precisare che la competenza in quell’ambito è delle ferrovie. Anche se ancora una volta è stata evitata la provocazione di Rocco, la realtà sta emergendo in modo sempre più chiaro. La maggioranza di centrodestra che governa Bologna, comprese le liste civiche, ha sensibilità diverse rispetto all’Ulivo ed è sacrosanto visto che ci si trova su sponde contrapposte. Sempre più spesso i consiglieri, dopo due anni, si sentono stretti dalla volontà del sindaco di mantenersi equidistante dai poli su temi che vedono contrapposizioni nette anche in campo nazionale e Rocco è utile per dare sfogo a queste frustrazioni.

Poco importa se dopo arriva la sconfessione importante è liberarsi ogni tanto esprimendo i propri pensieri; coloro che hanno votato per la cancellazione della scritta fascista o della parola resistenza dallo Statuto del comune, non sono degli sprovveduti e credono nelle scelte fatte anche se dopo prevale la ragion di stato.

Quanto può durare ancora tutto ciò? Forza Italia e An sono al governo del Paese resisteranno, chiedo scusa per il termine equivoco, ancora molto all’ombra del sindaco che persegue la sua strategia d’equidistanza?

Credo di no, il cerchio si stringe ed è bene che sia così. Gli elettori tra meno di tre anni, senza equivoci, si troveranno di fronte il candidato del centrodestra e del centrosinistra com’è avvenuto a livello nazionale.

 

Bologna, 27 ottobre 2001

Maurizio Cevenini

 

 

Federica, 18 anni

Venerdì mia figlia Federica compie diciotto anni e abusando dello spazio che questo giornale mi offre desidero farle, in modo particolare, gli auguri.

Scrivo questa lettera a te e tutti i ragazzi che in questi giorni diventano maggiorenni, seguendo la convenzione che nel nostro paese fissa la maturità di un giovane a diciotto anni.

Io come tanti altri genitori di diciottenni faccio parte di una generazione fortunata che ha vissuto gli anni più belli del nostro Paese, uscito da una guerra spaventosa, vedendone solo la crescita economica, sociale, culturale; certo ci sono stati anni molto bui, soprattutto quelli del terrorismo, ma in nessun modo paragonabili a quelli che stiamo vivendo in questo momento.

E proprio per la convinzione di questa crescita senza limite, vi abbiamo trasmesso le nostre certezze su un futuro in eterno sviluppo, trovando motivazioni anche all’inquinamento con la vita media in costante aumento; abbiamo avuto come riferimento i confini del mondo occidentale sviluppato, civile e democratico.

Vi abbiamo nascosto che nel mondo la guerra non è mai cessata, che milioni di bambini sono morti molto prima dei vostri diciott’anni, che in africa le bambine partoriscono a tredici anni, che in altri luoghi, fino a poco fa meta dei turisti, le donne non hanno diritto di parola.

A scuola avete studiato tutte queste cose ma la famiglia ha fatto da ammortizzatore tenendovi lontano dalla realtà per farvi crescere al sicuro e felici.

Poi l’11 settembre le televisioni vi hanno mostrato che il nostro mondo, anche il nostro mondo, è attaccabile da un mostro invisibile che si chiama terrorismo e New York è come Londra o Roma o Bologna.

E voi giovani siete il primo bersaglio perché questi vigliacchi nascosti nell’ombra vi vogliono togliere i sogni che la tecnologia vi ha in parte già tolto; il veleno in una lettera è insidioso come il missile nella torre non solo per il pericolo sanitario ma perché vi porta a chiudervi nelle vostre stanze con un computer senza sentimenti.

Ragazzi non può finire così, voi avete diritto ad un futuro sereno e di pace. Uscite dalle case incontratevi parlate e siate tolleranti soprattutto con chi è tanto diverso da voi come un ragazzo arabo. Quando diventerete la nuova classe dirigente forse sarete più lungimiranti di noi che non abbiamo compreso quale prezzo abbiamo accumulato per i tanti focolai accesi ai nostri confini lontani.

Una vecchia canzone di Gaber si concludeva pessimisticamente con la frase "anche per oggi non si vola…" voi provateci. Buon compleanno, Fede. Tuo padre.

Bologna, 21 ottobre 2001 Maurizio Cevenini

 

 

Tra Blair e Casarini, non ho dubbi

Come era tragicamente prevedibile dopo l’11 settembre l’escalation della crisi internazionale non trova soluzione di continuità, gli attacchi sull’Afganistan continuano incessanti con il doloroso prezzo di vittime innocenti.

Scrissi già all’indomani dell’attentato che, a differenza degli Stati Uniti, in Europa e in particolare nel nostro Paese dopo la prima reazione emotiva si sarebbe aperto un dibattito duro sulle azioni da intraprendere e avrebbero prevalso i distinguo.

In Italia però si è andati oltre; infatti, che l’ampio e variegato mondo anti globalizzazione e Rifondazione comunista fossero contrari a qualsiasi reazione dell’Onu e degli Stati Uniti ribadendo il generico slogan dell’individuazione e punizione dei colpevoli attraverso una azione mirati dei servizi segreti, era ampiamente scontato, che si rischiasse di frantumare definitivamente l’Ulivo un po’ meno.

La sinistra deve stare dalla parte dei più deboli sempre, creando le condizioni perché le cause remote di reazioni violente siano rimosse, a partire dal diritto ad avere territori e cibo, senza discriminazioni di razza e di religione.

Ma vengono momenti terribili come questi nei quali occorre scegliere e la neutralità e l’anima bella sono posizioni troppo comode; gli Stati Uniti hanno compiuto nel dopoguerra atti atroci per i quali hanno pagati prezzi duri ma hanno fatto molto per la democrazia nel mondo dalla Normandia in poi. Oggi sono il primo obiettivo, ma non l’unico, di una violenza cieca, barbara di aguzzini nascosti nell’ombra e l’Europa deve fare sentire la sua presenza, il suo appoggio.

Ancora una volta la sinistra italiana è a un bivio, assumere una responsabilità pesante di forza di governo o scegliere, contro il parere di gran parte dei propri elettori, di confinarsi nella limpida posizione di eterna opposizione.

Lo hanno capito bene i Casarini vari che, addirittura attraverso minacce, invitano perentoriamente i leader dell’Ulivo a disertare le manifestazioni per la pace.

A questi moralisti del nulla preferisco Blair con tutto il carico di responsabilità che ha saputo assumersi.

Bologna, 12 ottobre 2001

Maurizio Cevenini

 

Bologna: impegno globale

In queste settimane attorno a Bologna si sono sviluppati importanti dibattiti attorno ai temi sollevati da associazioni di categoria: piccole e grandi industrie, commercio, grandi infrastrutture. Senza entrare nelle polemiche sviluppate su altri giornale e, con tutto il rispetto, senza accontentarmi della graditissima uscita di S. Petronio, voglio rispolverare un’esigenza che sollevai tempo fa.

Bologna, che non è paese né megalopoli, è a una svolta decisiva per il suo sviluppo futuro;

Seabo, Fiera, métro, tram, alta velocità, traffico cittadino, sono titoli di nodi immensi che, nonostante le rassicurazioni del Sindaco e della sua Giunta, rischiano di far perdere appuntamenti storici.

Una città che non ha sciolto il nodo del suo governo metropolitano rischia di illudere i propri cittadini con eventi di impatto mediatico certamente belli ed importanti ma inutili se si evitano le scelte strategiche che passano attraverso un atto di modestia.

Sono consapevole che l’uniformità di governo tra Comune, Provincia, Regione fino al ’99 rendesse oggettivamente più facile il confronto fra e nelle diverse Istituzioni ma sono altrettanto convinto che se Bologna non accetterà un confronto serio con gli altri Enti tutto si fermerà inesorabilmente.

L’autosufficienza sta già creando forti perplessità tra interlocutori pubblici, e soprattutto privati, che saranno chiamati ad investire risorse ingenti sul progetto Bologna. E non sto parlando del piano del traffico o della sicurezza, argomenti di grande rilievo sui quali un’amministrazione può dare proprie risposte autonome.

Tutti noi sappiamo che gli ultimi mesi del mandato amministrativo saranno assorbiti dal clima elettorale, oggi siamo ancora in tempo per rilanciare il confronto utilizzando le risorse di intervento pianificato che solo Provincia e Regione hanno.

Non sto facendo, con questo consiglio, un favore al Sindaco di Bologna, ma a Bologna.

Nella logica dell’alternanza mi auguro che torni al governo il centro sinistra ma sui grandi interventi è indispensabile superare le contrapposizioni pregiudiziali.

Bologna, 5 ottobre 2001

Maurizio Cevenini

 

Da S. Petronio alla Mongolfiera

Questo numero sarà in diffusione nella settimana di San Petronio che, dopo centotrenta anni, tornerà a festeggiare all’aperto. Se allora venne tolto un po’ per proteggerlo e un po’ per ridimensionare il potere temporale della Chiesa, oggi, lo ha dichiarato il Sindaco e io ci credo e condivido, torna fuori per ritrovare la storia della nostra cara Bologna.

Per questo motivo, nei prossimi mesi, vedremo in città vecchie statue ora conservate in polverosi magazzini che richiameranno tutti alle solide radici petroniane.

Ne avevo già parlato la scorsa settimana ma un episodio curioso ma fa ripartire da qui.

Ai giardini Margherita, altra istituzione bolognese, mentre tecnici, storici e studiosi valutavano come riscoprire il nostro patrimonio artistico, altri tecnici altrettanto valenti concedevano ad una società privata, per un affitto di soli 20 milioni, il permesso per una grande cementata di ancoraggio per una mongolfiera panoramica che incomberà su Bologna.

Ricordo che i residenti ma più complessivamente gli utenti del Parco, sono particolarmente sensibili in questo momento dovendo subire la presenza della nuova cabina Enel che ha suscita polemica con la precedente e con l’attuale amministrazione.

E’ vero che innovazione e tradizione possono convivere ma un pallone di un diametro di venticinque metri che sale e scende in permanenza sulla città delle torri, delle statue dalla macchia, sempre meno verde dei Giardini….

So che si sta costituendo un comitato contro questa iniziativa al quale va la mia totale solidarietà anche se temo che la fermezza della Giunta non venga intaccata, se non da una azione esterna dalla sovrintendenza o qualche altro organo preposto al decoro.

La società che ha avuto l’autorizzazione a quella cifra irrisoria sarà soddisfatta ma tutti quei fedeli, anch’io ci sarò, che si accalcheranno per vedere San Petronio sul piedistallo forse un pensierino alle contraddizioni di questa Amministrazione lo faranno.

Viva la cara Bologna.

 

Bologna, 29 settembre 2001                 Maurizio Cevenini

 

E’ l’Islam il nemico?

Nello scrivere in questi giorni in rubriche come questa si rischia di non essere aggiornati sui drammatici sviluppi della crisi internazionale.

Con avidità ognuno di noi segue da televisioni e giornali il susseguirsi di dichiarazioni, indiscrezioni, commenti alla ricerca affannata di qualche certezza e tranquillità.

La frase più ricorrente, che accomuna tutti, è "guerra al terrorismo" ma quando si entra nelle pieghe di questa affermazione per comprendere come reagire e chi colpire, iniziano, inevitabilmente, ad affiorare i distinguo e le perplessità.

Il popolo americano è abituato da sempre a stringersi attorno ai propri governanti nei momenti di crisi e ad appoggiarli in ogni azione, mettendo in cima ad ogni pensiero l’unità della nazione.

In Europa c’è maggiore vivacità di analisi e, anche perché colpiti moralmente ma non fisicamente, si è aperto un confronto su valutazioni diverse, anche se saldamente coese nell’appoggio agli Stati Uniti.

Mi pare che al centro dell’attenzione vi sia prevalentemente il mondo islamico, ben più variegato di quanto ognuno di noi possa pensare, e la sua propensione all’incitamento al conflitto religioso o perlomeno troppo comprensivo nei confronti degli oltranzisti.

In questo vedo una preoccupazione reale, anche alla luce delle ultime affermazioni, sempre lucide ed efficaci, del nostro Cardinale Biffi sul tema dell’immigrazione nei Paesi occidentali, che tendono a creare un solco religioso sempre più ampio.

Sulla terra gli uomini di ogni religione che vogliono la pace come bene supremo sono una maggioranza schiacciante; i terroristi traggono forza da una minoranza che fomenta l’odio tra le razze, le religioni mettendo a repentaglio la vita di migliaia di donne e uomini innocenti.

Non è l’islam il pericolo più grande ma un’internazionale del terrore molto ramificata che solo la cooperazione internazionale può stroncare definitivamente.

 

Bologna, 21 settembre 2001

Maurizio Cevenini

 

Credo ancora nei DS

Risposta ad Alessandra Servidori

Da quando ho iniziato questa gradita collaborazione con Tribuna, l’editore ha deciso di affiancare i miei pareri a quelli di Alessandra Servidori, già affilata e preparata collaboratrice del giornale.

A nessuno dei due viene indicato un tema e, per questo motivo, parliamo di cose diverse che tendono, certe volte, a provocare la verve creativa dell’altro.

Alessandra, con il solito stile misurato, ha voluto rispondere al mio intervento sul congresso DS e per i lettori che seguono costantemente i nostri scritti ho deciso di rispondere.

La differenza di fondo tra me e Alessandra è che io ritengo che si possa salvare il primo Partito della Sinistra, credendo fortemente nel rilancio del sistema bipolare, quindi dell’Ulivo, mentre Lei, con me dalla costituzione dell’Ulivo di Romano Prodi, ha abbandonato definitivamente questa parte e questa prospettiva.

Questo è il presupposto indispensabile per comprendere il mio ragionamento su un Partito che, irrigidendosi nelle correnti proprio nel momento del suo minimo storico, rischia di sbagliare la prospettiva del suo rilancio.

Non ho bisogno che Alessandra mi elenchi i tragici errori che abbiamo commesso; mi stupisce solo il fatto che, come primo, non elenchi la crisi dell’Ulivo nel passaggio tra Prodi e D’Alema. Anch’io penso che D’Alema abbia governato bene, nelle difficili condizioni date, ma in quel momento si era interrotta la principale innovazione del panorama politico italiano.

Condivido solo la preoccupazione che la CGIL prendendo parte attiva, oltre i singoli, a questo congresso rischi di ridimensionare il proprio ruolo nella società.

Se lo scenario che descrive Alessandra (candidati fantocci di altri, guerra per bande,ecc.) si realizzasse, sarebbe certamente la fine senza appello dei DS; la mia volontà di non schierarmi organicamente in nessun raggruppamento, vuole scuotere il corpo ancora vivo di questo partito perché impedisca una deriva squallida.

Se avessi perso ogni speranze farei senza indugio una scelta diversa.

Su un cosa, cara Alessandra, hai ragione: sono malato di politica, ma anche tu continui ad esserlo.

Bologna, 14 settembre 2001        Maurizio Cevenini

 

 

Bologna sicura

Alla ripresa dell’attività politica è utile ricordare che sono già passati due anni di governo del centro destra a Bologna; siamo vicini, quindi, alla metà del mandato e può essere utile cominciare a fare qualche valutazione, se non un vero e proprio bilancio.

Nel poco spazio a disposizione mi limito a segnalare uno dei temi centrali sui quali si è incentrata la campagna elettorale del Sindaco: la sicurezza.

Sono di parte ed è facile contestare le mie valutazioni con la frase che mi sento ripetere spesso in Consiglio comunale: e voi cosa avete fatto? Non molto, ma i primi segnali di una attenzione, il tentativo di un coordinamento con le forze dell’ordine, la valorizzazione dei comitati cittadini si erano visti. Oggi, basta leggere la cronaca di tutti i giorni, ritengo che la situazione sia peggiorata in particolare con quei piccoli reati che lasciano nell’angoscia donne ed anziani.

Ritengo giusto segnalarlo perché sono certo che tanti cittadini abbiano cambiato il loro voto confidando in queste promesse sulla città sicura, l’istituzione del vigile di quartiere, addirittura sull’assessorato dedicato esclusivamente alla sicurezza.

Come dice sempre il Sindaco i cittadini valuteranno sui risultati; mi permetto di aggiungere, sui risultati certo ma anche sulle promesse non mantenute.

 

Bologna, 8 settembre 2001

 

G8: caro Cesare, ricordi?

 

Sono tra coloro che non hanno condiviso la scelta della Direzione Nazionale dei DS di partecipare ufficialmente alla manifestazione di Genova e la successiva smentita, se possibile, ha ingenerato una confusione maggiore.

Questa è una cosa piccola, insignificante, rispetto alla morte di un ragazzo e alle centinaia di feriti. Tra questi Federico Minghini, Mingo, al quale non mi lega la conoscenza personale ma la lontana amicizia con il padre (spero di non incappare in caso d’omonimia).

Con Cesare eravamo nella stessa scuola, il mitico ITIS di Via Saragozza, oggi non c’è più, negli anni della massima contestazione studentesca. Militanti della FGCI quando ciò che accadeva nel mondo ci pareva di una chiarezza disarmante: i "cattivi" erano sempre da una parte, gli oppressi dall’altra e noi, con tutte le certezze sorrette da buone letture, riempivamo assemblee e piazze senza difficoltà. Anni duri d’occupazione di scontri davanti alle scuole. Cesare più grandicello di noi oltre ad essere un leader del movimento fu anche il più precoce, con la sua compagna, ad avere un figlio: Federico. Nome bellissimo di santo ma soprattutto di uno dei maestri di quei tempi. Anche mia figlia si chiama Federica.

Poi com’è successo per tanti protagonisti di quel periodo la frequentazione divenne più occasionale anche perché prendemmo strade diverse, pur continuando a militare nello stesso partito nelle sue evoluzioni, io nel privato e nelle Istituzioni, Cesare a vari gradi dentro il Sindacato. Ho voluto scrivere, invadendo il privato di un amico, perché ho visto l’analogia con l’altro figlio di sindacalista che non ha avuto la fortuna di tornare a casa dall’inferno di Genova. Quel Carlo, anch’esso figlio di sindacalista con un bellissimo nome forse tratto dalle stesse nostre letture.

A trent’anni di distanza, i nostri figli ripetono la storia?

No, sarebbe troppo semplice. Sta avvenendo qualcosa che per tanti di noi è incomprensibile e ci fa sentire ancora una volta in ritardo; giovani che non si riconoscono nel nostro modo di fare politica ma fanno politica, tagliando trasversalmente i nostri schemi, mettono in discussioni i cardini e dell’economia e dello sviluppo.

Lo avrebbero fatto anche con Rutelli al posto di Berlusconi.

Sono ingenui e veri, al punto di non capire il grave pericolo che s’insinua nelle loro file e nelle manifestazioni per provocare violenza gratuita. Apriamo un dialogo se ci riusciamo: già una volta, davanti agli occhi stralunati degli iscritti, le tute bianche sono entrate in una nostra sezione a spiegare il loro punto di vista.

Ma non facciamolo camuffati, in modo ipocrita, fingendo d’essere come loro. E’ inutile oggi noi siamo come gli insegnanti che contestavamo nel 70, siamo dentro la zona rossa, avremmo voluto che la sinistra fosse lì a rappresentare il nostro Paese.

Pensaci caro Cesare e scusami se ti ho trascinato in questo scritto, a rischio di querela, a rappresentare simbolicamente noi. Abbraccia tuo figlio e auguragli una pronta guarigione.

Bologna, 22 luglio 2001                     Maurizio Cevenini

 

Bologna torna caso nazionale

 

Bologna, nel bene o nel male, dal dopoguerra ad oggi è spesso stata citata come caso nazionale.

Dalla vetrina del comunismo dal volto umano, alla difesa del centro storico, della collina, dei tanti servizi sociali con qualche esagerazione -chi non ricorda l’autobus gratis- e tante altre fino alla caduta del muro di Bologna con l’elezione di Guazzaloca. Seguendo la prudenza del suo Sindaco l’amministrazione, in questi ultimi anni, si è mossa a piccoli passi, con un profilo basso, quasi a voler dimostrare una certa continuità per non traumatizzare la nota bonomia dei bolognesi che non amano gli strappi improvvisi.

Solo sul terreno del traffico il Sindaco ha tenuto a fatica gli oltranzisti della sua maggioranza. A dire il vero il famoso buco nella collina, anticipatore del buco citato dallo straordinario ministro Tremonti, è stato brillantemente affossato dal Sindaco che lo ha rimandato a data da destinarsi ma sul piano del traffico l’ostinazione ha riportato Bologna alle cronache nazionali.

Per la prima volta in Italia, pare la seconda in Europa, un giudice civile, sulla base giuridica del primato della salute, impone ad una amministrazione, Bologna appunto, alcuni provvedimenti per arginare il grave inquinamento nel centro storico.

Premetto che ritengo in generale sbagliato che la magistratura intervenga sull’amministrazione di una città e quando avviene significa il fallimento della politica.

Personalmente sono convinto che tutto questo polverone, e la frase si addice alle polveri insidiose accumulate in centro, sia frutto della colpevole ostinazione dell’amministrazione sul non voler controllare i varchi della città.

Quel maledetto sistema Sirio che fece penare Vitali per sei anni si ritorce con la stessa violenza sulla nuova amministrazione. Allora non era omologato, oggi lo è e la Giunta ha confermato i divieti alle porte ma chiude gli occhi e non li controlla permettendo l’acceso ad almeno un 30% di abusivi. Come ho spesso sostenuto, anche su questo giornale, sarebbe stato molto più coerente togliere i divieti evitando la farsa. Questo ha esasperato gruppi di cittadini che non trovando udienza presso l’amministrazione ha tentato l’estrema carta della magistratura che, contro le certezze di Palazzo d’Accursio, ha imposto al Comune di attivare Sirio o mettere i vigili a tutti gli accessi, oltre ad altri rilevanti provvedimenti.

Ora è il momento di accantonare l’arroganza e trattare ma pare che la giunta, come avvenne per Berselli nella sua lotta elettorale contro Sirio, non voglia mollare.

Bologna, 15 luglio 2001 Maurizio Cevenini

 

Una sola, saldissima, certezza

Bravo Vito! Con la sua grande simpatia, oltre a fare spettacolo, apre il dibattito sul futuro Sindaco di Bologna. Ha fatto bene con le sue critiche a segnalare tutti i difetti della sinistra e i pregi di Giorgio Guazzaloca, Sindaco che apprezzo e che rispetto ma che giudico un avversario.

Ritengo di essere stato tra i primi, nell’autunno del ’99, a voler saggiare la disponibilità di apertura sulle grandi questioni che toccavano Bologna e il suo territorio. Presi una smusata da ridere, caro Vito, dal Sindaco e dai suoi alleati. Avevano ragione loro naturalmente, voi di qua noi di là. E di conferme ne ebbi e ne ho in continuazione quando mi accorgo che è raro trovare punti di convergenza, dentro e fuori dal Consiglio Comunale. Guazzaloca non può essere il candidato dell’Ulivo per pochi, quanto banali motivi: è appoggiato e ha appoggiato i candidati del centro destra in tutte le elezioni seguite all’indimenticabile ’99. Con la chiarezza che lo contraddistingue ha indicato al Paese perché Berlusconi avrebbe vinto le elezioni, contro Parisi ha appoggiato il mio caro amico Tura in due occasioni, ma anche, a Rimini, l’impossibile candidato del Polo Spigolon.

Ha scelto una parte in modo legittimo come prevede la stagione del bipolarismo; trimestralmente, assieme alla sua Giunta che, come lui sostiene, è la migliore possibile, presenta il risultato del suo lavoro e delle sue scelte che in modo inequivocabile trovano l’opposizione del centrosinistra.

Noi cosa dobbiamo fare? Smetterla di illuderci che il massacrante lavoro di contrasto istituzionale a questa maggioranza sia sufficiente e iniziare la corsa verso il 2004. Presentando fuori dal Palazzo le nostre idee per Bologna indicando al più presto il candidato che, ha ragione Vito, deve girare la città, farsi conoscere e rendersi simpatico ai bolognesi per la sostanza di ciò che dice.

Sarà una bella gara tra un candidato forte e il nostro mi auguro altrettanto.

Ma non sarà una rivincita degli sconfitti, questo è un sentimento che non ci deve seguire. Sarà il nuovo Ulivo quello a cui hanno dato fiducia la maggioranza dei bolognesi in tutte le elezioni successive al ’99, contro il centro destra e il suo candidato.

Intanto Vito continui nella sua satira e, perché no, nella sua critica politica, augurandomi che cambi idea sul candidato. Concludo, però, dicendo che in politica nulla è impossibile. Nel caso, è già pronto un manipolo di resistenti che con me si presenteranno in alternativa. Il marchio è già registrato: c’è il Ciccio, il gruppo della pesca gigante, i comitati antitunnel, il collegio 12, qualche altro. Pochi fighetti e una lista che ride.

Bologna, 8 luglio 2001 Maurizio Cevenini

L’alta velocità e la qualità della vita

 

Le chiacchierate nei bar a volte sono leggere, in altre occasioni sono di straordinaria qualità.

Nella mia esperienza personale si parte sempre dall’ironia, da fatti futili e poi si giunge ad affrontare temi che neppure otto G8 potrebbero risolvere.

E' successo la scorsa settimana dal Ciccio, quando dalla crisi della Fiorentina (carne e calcio) siamo passati al blocco dei lavori dell’alta velocità, la rete di treni veloci indispensabile all’Italia per rimanere al passo con l’Europa.

Penso che i giudici abbiano agito con coscienza e senso di responsabilità e mi sento di respingere i dubbi avanzati da chi ha visto dietro questa decisione una scelta politica contro il nuovo governo Berlusconi. E’ un peccato che il primo scatto di nervi l’abbia avuto il ministro Lunardi che, anche perché coinvolto come professionista in questi lavori, dovrebbe essere più prudente di altri.

Anche i bambini sanno che i lavori dell’alta velocità sono partiti per volontà e sotto la direzione dei governi dell’Ulivo ed hanno ottenuto un ampio consenso in Parlamento. Da qui bisogna partire, al riparo da imminenti scadenze elettorali, per trovare il massimo impegno di tutte le forze politiche per affrontare un’emergenza straordinaria.

L’alta velocità rappresenta l’ultimo tentativo per cambiare radicalmente le abitudini degli italiani in tema di trasporti per persone e merci. Il drastico ridimensionamento dei tempi, Bologna Firenze in meno di mezz’ora, può rappresentare una vera alternativa al trasporto su gomma che sta portando alla paralisi delle principali arterie stradali ed autostradali creando un forte inquinamento. Se sarà dimostrato che, nel corso dei lavori, si sono fatti abusi gravi come l’inquinamento delle falde acquifere, chi ha sbagliato dovrà pagare duramente, ma i lavori devono ripartire in fretta. Ambientalisti, verdi, comitati locali hanno invocato l’immediata interruzione del progetto globale appellandosi alla priorità della salute e della qualità della vita.

Solo i conflitti bellici permettono di rallentare lo sviluppo e ricominciare. Fortunatamente il nostro Paese vive da oltre cinquant’anni in pace e il progresso è stato straordinario ma disordinato, soprattutto sul piano delle infrastrutture. Il treno veloce, costruito in sicurezza, rappresenta una risposta concreta non solo sul piano economico ma anche ambientale.

Anche per i tanti lavoratori che in questi giorni trepidano per il loro futuro, occorre una risposta rapida dalla magistratura per ripartire con decisione.

 

Bologna, 30 giugno 2001 Maurizio Cevenini

 

 

Ulivo: il solito grave errore

E’ passato poco più di un mese dalla sconfitta elettorale e i primi giorni sono stati dedicati da noi tutti a recriminare sugli errori, primo tra tutti l’aver rispolverato l’Ulivo solo nella fase elettorale.

Poi gli eletti hanno occupato i propri scranni parlamentari ben divisi nelle proprie nicchie di appartenenza più o meno grandi, ed è cominciato "l’approfondimento" fatto di fendenti più o meno forti all’alleato interno o esterno al proprio partito; su chi è più di sinistra o meno, chi copre al centro, chi farà l’elastico con rifondazione comunista e via disquisendo.

Nessuno dei sommi sacerdoti si è posto il problema di interpretare lo spirito con cui gli elettori si sono rivolti, ancora una volta, con fiducia ad una coalizione; in pochi sono sfiorati dal dubbio che l’elettorato italiano, in particolare i giovani, sia scarsamente interessato alle nostre geometrie variabili e gradirebbe di più la voce unitaria e chiara dell’Ulivo che risponde a Berlusconi e alle sue proposte.

Un esempio per tutti: è presumibile che il governo, seppur con il nuovo stile buonista, prepari una ricetta per un ampio piano di privatizzazioni, come risponde l’Ulivo? Con quattro cinque controproposte diverse dei vari gruppi o con un’ unica indicazione come fossimo ancora noi a fare proposte di governo. E’ solo un esempio, lo ripeto, e vale per tutte le scelte che ci troveremo a compiere.

Anche Bologna non si sottrae al dibattito-scontro sull’avvenire della coalizione e se qualcuno si sforza, vedi la relazione di Caronna all’ultima Direzione DS, di ripartire subito con l’ulivo attraverso una convention e i comitati di collegio, altri entrano a piedi pari rivendicando la paternità della sinistra o la propria la vittoria nella sconfitta.

Non ci siamo proprio. Questa è esattamente la strada che ci ha portato al logoramento dopo la caduta di Prodi ed è bene fare chiarezza adesso, relativamente lontani da scadenze elettorali.

Ci sono solo due opzioni in campo: una tendenzialmente proporzionalistica, quindi non adeguata ai tempi e al sistema elettorale, che spinge a valorizzare la propria area di appartenenza a scapito della coalizione che si inventerà nelle ultime settimane prima del voto, l’altra, alla quale mi iscrivo, che orienta tutto il proprio agire verso l’aggregazione dell’unico soggetto politico da contrapporre alla Casa delle Libertà.

Il secondo è il più difficile perché le differenze e le contraddizioni sono tante ma credo che sia comprensibile dagli italiani, e anche dai bolognesi in vista del 2004, e sia l’unico in grado di evitare di morire, seppur belli e puri, eternamente all’opposizione.

 

Bologna, 24 giugno 2001                   Maurizio Cevenini

 

Due Torri nel cuore l’Ulivo in Comune

 

Domenica sera si è chiusa una bella festa dell’Unità alle Due Madonne con una partecipazione ampia anche ai dibattiti sulla politica nazionale e locale.

Nell’ultimo, al quale ho partecipato con Ferrari e Merola, il glorioso simbolo delle Due Torri campeggiava alle nostre spalle e mi ha dato l’occasione per una riflessione pubblica che ha aperto un dibattito nei giorni successivi. Il ragionamento è semplice: da oltre cinquant’anni, ogni cinque anni, il PCI prima, PDS-DS poi nelle elezioni amministrative si presentavano con il simbolo delle Due Torri che stava a rappresentare una lista aperta alla città, apprezzata in tutta Europa, che ha permesso di avvicinare alla politica figure indipendenti del mondo della cultura e dell’economia. Tutto questo è avvenuto vittoriosamente fino al 99, quando anche il sistema elettorale spingeva ad altre forme di aggregazione. Sgombro subito il campo da maliziose interpretazioni del mio pensiero e chiarisco che sono ben altri i motivi che hanno creato l’inattesa vittoria di Guazzaloca ma non va sottovalutato il fatto che in cinque elezioni contemporanee (Provincia e quartieri) e successive (collegio 12, Regionali, politiche) a Bologna, il centro sinistra, ha sempre vinto sotto il segno dell’Ulivo.

Frequento la politica, con alterne fortune, da troppi anni per non capire che le elezioni si vincono con le proposte, gli uomini più che con i simboli. Ma la volontà di unità di una aggregazione di governo si sintetizza in un’immagine riconoscibile e radicata.

Occorre prendere atto che per chi non ha più quarant’anni, le Due Torri sono l’immagine di Bologna, molto meno il simbolo per uno schieramento politico; è per questo che credo che quel simbolo che ci onoriamo di rappresentare oggi in consiglio comunale vada riposto nei nostri cuori per lasciare spazio ad altro.

A Bologna si voterà tra tre anni è presto per parlare di queste cose?

Invito a riflettere sui sette anni di preparazione di Berlusconi, e in contrapposizione il modesto risultato di invenzioni dell’ultima ora, Biancofiore, Girasole.

Il mio parere è che molto presto dovremo lanciare il programma, non molto diverso da quello del ’99 perché era molto buono ma purtroppo i bolognesi si sono fidati di più degli slogan efficaci dell’avversario, ma soprattutto il nome del candidato che assieme al simbolo dell’ulivo dovrà battere palmo a palmo la città facendosi conoscere e possibilmente apprezzare. Non invento niente, esattamente come per Errani.

Bologna, 17 giugno 2001 Maurizio Cevenini

 

Se questo è il nuovo…

C’era una grande attesa per il varo del secondo governo Berlusconi. Il mese trascorso dall’esito elettorale fa parte di quella serie di storture che il sistema italiano dovrà superare rapidamente. Il governo Amato ha dovuto affrontare impegni importanti con la sovranità limitata dovuta alla sconfitta, ultimo paradosso la ratifica del fondamentale trattato di Kioto per il quale il nuovo esecutivo ha una visione diversa. Ma finalmente domenica dieci giugno il Presidente del Consiglio ha presentato la sua squadra smentendo o confermando le centinaia di liste presentate dai giornali e dalle televisioni.

A poche ore dalla presentazione, un giudizio di un commentatore improvvisato e di parte, come il sottoscritto, deve essere necessariamente prudente ma non ambiguo.

Sono passati sette lunghissimi anni da quando si frantumò il primo governo Berlusconi e ciò avvenne certamente per l’inesperienza ma anche per il grande ruolo che aveva la Lega in termini numerici e di spinta elettorale e per il peso massiccio che ebbero i partiti in quell’esecutivo.

Questa volta Berlusconi ha cercato, dopo averlo sbandierato in una campagna elettorale lunga un anno, di fare tesoro della precedente esperienza ripetendo più volte che la scelta sarebbe caduta sui migliori per la traduzione concreta del programma elettorale. E’ riuscito a rispettare questo proposito? Secondo me no. L’esecutivo è stato formato da coloro che i partiti hanno fortemente voluto nel governo prescindendo da competenze e preferenze dello stesso Presidente del Consiglio. Stendo un velo pietoso sulla furba ma vergognosa campagna di Forza Italia contro i famosi politici di professione, almeno una metà dei Ministri lo è come, o forse di più, dei tanto bistrattati Rutelli e D’Alema e tutti i segretari di Partito sono in Ministeri chiave dove occorre lavorare sodo. Segnalo anche l’esigenza, per far tornare tutti i conti, di allargare il numero dei Ministri smentendo i limiti imposti dalla Legge Bassanini per il drastico ridimensionamento dell’esecutivo.

Ricordo, come ho fatto in altri interventi post-elettorali, che ogni giudizio completo deve essere rimandato ai primi atti del governo che rimane organo collegiale e che parte con una solida base di consenso nei due rami del Parlamento. Ma una certa inquietudine mi assale quando in tre ministeri chiave Riforme, Giustizia, Welfare vengono indicati statisti della Lega del calibro di Bossi, Castelli, Maroni. In questi tre Ministeri, è bene ricordarlo, devono maturare le riforme più importanti in tema di sistema di governo, pensioni, lavoro.

E’ tanta la paura che Lega ripeta il ’94,da concedere uno spazio di queste dimensioni?

Buon lavoro Presidente Berlusconi.

 

 

 

Bologna, 10 giugno 2001                                  Maurizio Cevenini

 

 

La Madonna di San Luca

 

Ogni volta che in politica avviene un fatto curioso e particolare, quest’ultimo prevale sul contenuto principale dell’evento.

E’ avvenuto così anche per il discorso inaugurale del neo Presidente della Camera dei Deputati Pier Ferdinando Casini. Un discorso corretto e attento che si addice ad un personaggio al quale si possono fare molte critiche sul piano politico ma che ha dimostrato, in più occasioni, grande equilibrio e capacità di mediazione mettendosi al centro di uno schieramento che, a mio avviso, ha pochi campioni di moderazione.

Ha reso omaggio, in questo discorso apprezzabile, ai predecessori e si è dichiarato rigoroso custode dei valori fondativi della nostra Repubblica nonché dei diritti di maggioranza e opposizione. Un intervento concluso con il famoso richiamo alla Madonna di San Luca.

Su questo si è polarizzata l’attenzione della stampa e di tutti gli osservatori interni ed esterni al mondo della politica. Tutti i giornali hanno dovuto rapidamente recuperare la biografia della Madonna di Bologna per soddisfare la curiosità dei lettori cercando avidamente collegamenti, più o meno diretti, con il Presidente.

Molto sinceramente non so cosa abbia spinto Casini a chiudere un intervento già completo con quel richiamo; a partire dai colleghi sono venuti i giudizi più disparati: strumentale, furbo, bigotto, banale e altri in contrapposizione: commovente, sincero, generoso, devoto.

Non mi iscrivo a nessun partito di giudizio, solo Casini ha chiaro il significato del suo gesto ma da bolognese devo dire che mi ha fatto piacere.

In fondo ha richiamato, nella sede più solenne, un pensiero che lega tantissimi bolognesi, laici e cattolici. Senza voler essere irriverente penso che nessun bolognese rinuncerebbe alle Due Torri ma neppure alla Basilica sul Colle; questo vale oggi quanto ieri, quando quasi il sessanta per cento dei bolognesi votava comunista.

Nel corso della mia vita non ricordo quante volte ho pronunciato la frase che ogni bolognese ha detto almeno una volta: "se… vado a San Luca a piedi". L’ultima è ancora nitida e risale al ’99, un paio d’anni fa, quando tentai un’impresa impossibile…

Così ho aggiunto anche il mio parere al tema della settimana, ma lo considero un modo per augurare al Presidente della Camera un buon lavoro.

Ne avrà bisogno perché dipenderà molto dalla fermezza e dall’equilibrio delle massime cariche istituzionali la possibilità di avviare la troppo attesa stagione delle riforme, indispensabile per una democrazia compiuta.

Bologna, 3 giugno 2001 Maurizio Cevenini

 

 

Ripartire dalle città

Il voto di domenica in tre città metropolitane importanti come Napoli, Torino e Roma non deve illudere nessuno ma indica al centro-sinistra una strada per riconquistare credibilità di governo. Non ho mai confuso consultazioni elettorali tanto diverse come quelle tra Comuni e Governo del Paese, ma la vicinanza con il voto del 13 maggio impone qualche confronto. Intanto è bene ricordare che sul voto di quelle città poteva incidere, in modo parallelamente emotivo, l’euforia dei vincitori e la depressione degli sconfitti e a mio parere non sono avvenute né l’una né l’altra. La lettura mi pare più semplice, pur rispettando l’autorevolezza e la capacità dei candidati: il centro-sinistra ha aggregato molto di più l’elettorato esterno a Polo e Ulivo. Messi in libertà gli elettori di Di Pietro, Bertinotti e in parte Bonino e D’Antoni in maggioranza scelgono l’Ulivo. E anche dove i loro leader hanno dato libertà di scelta, ammesso e non concesso che questi appello abbiano ancora ascolto, gli elettori hanno risposto. Se in Italia si votasse con il sistema francese certamente più equilibrato del nostro e molto simile al voto sui Sindaci, che impone al candidato di ogni collegio di raggiungere tra primo e secondo turno il 50% più un voto, il 13 maggio avrebbe vinto Rutelli. Questa è una constatazione non una giustificazione, perché il sistema elettorale vigente in Italia è stato voluto anche dal centro sinistra e in cinque anni non c’è stata la forza per un cambiamento. Ma dagli errori occorre trarre rapidamente l’insegnamento per rettificare un percorso sbagliato. Se è vero, come dicevo all’inizio, che l’aggregazione vince e che Berlusconi, molto prima del voto, ha creato le condizioni per il massimo di unità tra i suoi alleati, penso che il primo obiettivo delle tante anime del centro sinistra sia la comprensione dell’inutilità del simbolo dell’Ulivo da rispolverare alla vigilia del voto.

L’aggregazione permanente deve diventare parte integrante del progetto politico.

Walter Veltroni giustamente ha ricordato di aver vinto con il sostegno di tutte le forze che portarono al successo l’Ulivo nel ’96, evitando di fare paralleli impropri con il governo nazionale, ma dando un preciso indirizzo politico. Non chiudiamoci quindi tra le mura delle città conquistate, ma partiamo dal buon governo delle stesse per ritessere quella tela che abbiamo strappato con i nostri tragici errori.

Bologna, 28 maggio 2001

 

Maurizio Cevenini

 

Per i DS una guida forte verso l’unità nell’Ulivo

 

L’esito delle elezioni del 13 maggio merita qualche altra considerazione. E’ presto per dire come si svilupperà il programma di governo di Berlusconi, soprattutto perché, rispetto alle anticipazioni, la formazione definitiva del governo sarà molto diversa e non è elemento di poco conto. Vedremo se prevarrà un esecutivo rigidamente politico o se troveranno posto, accettando l’offerta, figure tecniche utili per accreditarsi sul piano internazionale. Naturalmente è un problema che osservo da lontano: Silvio Berlusconi ha vinto in modo chiaro e inconfutabile le elezioni, l’opposizione deve evitare dichiarazioni aprioristiche che all’indomani del voto sarebbero solo controproducenti.

Le opposizioni oggi devono concentrarsi nell’analisi degli errori compiuti per programmare al meglio l’alternativa. Dopo gli importanti ballottaggi di domenica prossima, che mi auguro affidino all’Ulivo il governo di Roma, Torino, Napoli, si dovrà sciogliere il nodo fondamentale: sparsi o saldamente uniti?

Personalmente ritengo che la strada da imboccare in modo deciso sia quella dell’unità di tutte le forze che hanno appoggiato Francesco Rutelli; sarebbe un grossolano errore sperare che la riscossa possa essere guidata da tanti partiti sparpagliati che negli ultimi mesi, in occasione delle campagne elettorali, si ricompongono in improponibili aggregazioni.

Non mi spingo a dire che si debba lavorare per la costituzione di un partito unico, ma per una solida aggregazione certamente sì. Partendo dalle esperienze convincenti del lavoro nei collegi elettorali con l’impegno costante dei rappresentanti eletti ma non solo.

Si dovrà passare attraverso un chiarimento all’interno dei Partiti, DS prima di ogni altro.

Il congresso che dovremo affrontare dovrà decidere se imboccare la strada dello splendido (si fa per dire) isolamento di un partito socialdemocratico che realisticamente può ambire in Italia a un potenziale del 20/25% o avviare con Margherita e laici il percorso di unificazione.

Il mio amico Ciccio, oste e filosofo, ha lanciato nei giorni scorsi una raccolta di firme a favore di Pierluigi Bersani come segretario nazionale dei DS. Iniziativa ingenua e prematura che però fa riflettere. Se pensiamo ad un congresso condotto con il bilancino delle correnti organizzate, arriveremo alla solita soluzione di compromesso di un Partito che fuori da Emilia Romagna e Toscana e qualche area di altre Regioni rappresenta, a fatica, solo un modesto movimento di opinione.

Occorre uno scossone che un uomo come Bersani, autorevole e vincente nelle sue esperienze di governo, può assicurare.

Per carità servono i programmi l’elaborazione politica e via dissertando, ma sempre più spesso la scelta degli uomini, in positivo o in negativo, è determinante per creare fiducia.

 

 

Bologna, 20 maggio 2001 Maurizio Cevenini

 

E’ l’ora della riflessione

 

Silvio Berlusconi ha vinto in modo chiaro e inconfutabile le elezioni e Francesco Rutelli lo ha riconosciuto senza cercare scuse e giustificazioni. Ora ha l’onere e l’onore di guidare l’Italia per cinque anni rispettando il programma presentato agli italiani, trovando il modo di renderlo compatibile con i parametri europei oltre le demagogie elettorali. Questo mio commento a caldo, un’ora dopo il dato definitivo, risente dell’emotività del momento, ci sarà spazio nelle prossime settimane per fare valutazioni più attente. Ha pagato, in questa campagna elettorale, la lunga preparazione e la scientifica promozione del messaggio del Polo, coeso attorno al proprio leader; ha prevalso, in estrema sintesi, la voglia di cambiamento, contro governi diversi, soffocati da vecchi tatticismi di schieramenti litigiosi, che hanno messo in ombra i risultati di una buona azione di governo.

Quella stessa voglia che accompagnò la nascita e la crescita dell’Ulivo con Romano Prodi e che si frantumò quel maledetto ottobre del ’98 con la caduta del governo voluta da Bertinotti. Mauro Zani dopo la sconfitta di Bologna parlò di una talpa che scavava da tempo preparando quel tonfo; ecco credo che la talpa abbia scavato anche sotto le radici dell’Ulivo togliendo freschezza alle sue foglie, a tutte.

Certo il colpo decisivo, ancora una volta, lo ha dato Bertinotti, che ha trovato la compagnia di Di Pietro ma anche di D’Antoni e dei Radicali che con la scelta anti bipolare hanno sottratto voti, in modo decisivo, allo schieramento di centro sinistra. Certo Bertinotti ha ottenuto una manciati di deputati, importanti per sbattere una scarpa sui banchi del Senato, quando passeranno provvedimenti contro i lavoratori. Migliaia di italiani hanno buttato al vento il loro voto, il loro impegno democratico disperdendo voti, la maggior parte in modo inconsapevole, su partiti che non hanno raggiunto il quorum.

Dicevo all’inizio che ora il governo legittimo del Paese deve fare il suo lavoro a noi spetta un opposizione chiara, decisa e soprattutto corretta. Abbiamo, purtroppo, tanto tempo per riconquistare la fiducia degli italiani, in particolare i giovani, ma occorre partire subito con il piede giusto.

Dal voto esce chiara la volontà, in me da sempre radicata, della scelta bipolare, e nel centro sinistra dovrà trovare una forma di aggregazione più stabile e forte.

Dal voto del ’48 in poi la sinistra non ha mai raggiunto la maggioranza nel Paese, ha ruotato nei momenti migliori attorno al 35%; chi pensasse al bel isolamento dei duri e puri rifletta su questi numeri.

Già dicevo che ci sarà tempo per analisi più attente; ora occorre riflettere serenamente ringraziando tutti coloro che hanno creduto più nel progetto che nei leader chiamati a realizzarlo.

In fondo l’inno dell’Ulivo"se c’è qualcosa da capire ancora…"

 

Bologna 15 maggio 2001 Maurizio Cevenini

 

Neppure un voto vada sprecato

 

Questo è l’ultimo articolo che uscirà prima delle elezioni. Ancora una volta approfitto della disponibilità dell’editore per esprimere il mio parere di parte.

Premetto di essere tra coloro che hanno creduto e credono tutt’ora in un sistema politico bipolare come unica possibilità di stabilità di governo per il nostro Paese.

Se avessimo cancellato in tempo, come dovrebbe avvenire in un Paese civile, i defunti dalle liste elettorali il referendum avrebbe spazzato via la ridicola quota proporzionale del 25%. E’ vero che i Partiti avevano ricominciato a prolificare in Parlamento con le denominazione più strane, ma il mancato radicamento e gli scontri diretti e secchi nei collegi, avrebbero costretto ad alleanze senza il comodo paracadute del proporzionale.

Oggi ci troviamo ad attendere, chi prendendo parte attiva chi seguendo le televisioni, un esito elettorale condizionato da tanti voti inutili e per buona parte inconsapevoli.

Sono convinto che un alto numero di italiani nel fare la croce su uno dei tanti partiti o raggruppamenti che si presentano non sia consapevole che se quel Partito non supererà la soglia del 4% il suo voto sarà stato inutile. E in modo ancora più grave negli scontri uninominali i voti che non cadranno direttamente su Polo o Ulivo ma sui non allineati senza speranza di vittoria, (D’Antoni, Di Pietro, Radicali, ecc), determineranno la vittoria di uno dei candidati principali. Sono veramente convinto che il 14 maggio molti, verificando l’esito finale, potrebbero rammaricarsi per le proprie scelte. Ecco perché ritengo giusto un appello al voto ma soprattutto ad un voto utile per il governo del Paese. In molti collegi il distacco tra i principali antagonisti è veramente modesto e sicuramente molti voti di incertezza, di protesta, idelogici sacrificherebbero maggiormente l’Ulivo spianando la strada a Berlusconi.

Queste ultime sono anche giornate di riflessione: ogni italiano deve fare il suo bilancio personale di quanto è avvenuto, a sé stesso e alla propria famiglia, in questi cinque anni di governo dell’Ulivo. Penso che la stragrande maggioranza di noi sia vissuta in condizioni migliori degli anni precedenti con qualche prospettiva in più per i propri figli; sono un moderato e non voglio accodarmi negli attacchi ai guai giudiziari di Berlusconi ma mi limito a dire che dall’altra parte c’è una coalizione che si identifica totalmente con il proprio leader, ne è dipendente anche sul piano economico, senza uomini con esperienza di governo della cosa pubblica.

Enrico Berlinguer, un comunista italiano amato e rispettato anche dagli avversari, concludeva il suo ultimo appello al voto con questa frase: neppure un voto deve andare sprecato. Schieratevi dove volete ma date un voto utile e consapevole.

 

 

Bologna, 6 maggio 2001

Maurizio Cevenini

 

Da testimonial del Centro Trapianti

 

Il Consiglio comunale di Bologna da ormai cinque anni ha una squadra di calcio che s’incontra con gli altri comuni d’Italia. In sé iniziativa banale, che consente ai politici di coltivare l’hobby della stragrande maggioranza degli italiani. Di particolare c’è il fatto che per strada abbiamo conosciuto i principali attori del Centro riferimento Trapianti di Bologna, Martinelli, Nanni Costa, Ridolfi con i quali abbiamo concordato di diventare, con i nostri incontri, testimonial del centro.

E’ di questi giorni la polemica accesa da Celentano sul famoso silenzio-assenso per la donazione. Chi parla di queste cose dovrebbe avere esperienze come la nostra e la possibilità di incontrare le migliaia di persone nell’attesa di un trapianto, i loro familiari, i volontari, i medici, gli operatori sanitari in genere, che credono e lottano per salvare, sul filo dei minuti, una vita umana.

Nel Paese si è condotta una campagna serrata di mesi, con costi notevoli, per informare, orientare un intero popolo sull’importanza della donazione.

A fatica dopo anni d’attesa, mediazioni estenuanti, si è approvata una legge nazionale, brutta ed imperfetta, ma fondamentale per salvare un numero enorme di vite.

Una trasmissione televisiva rischia di sbriciolare questo straordinario lavoro rilanciando i dubbi, le obiezioni, le prevenzioni e temo che ci vorrà molto tempo per riallacciare il filo delicato della scelta scientifica contro l’oscurantismo.

Tre anni fa, in occasione della prima giornata nazionale dedicata alla donazione e al trapianto d’organo, accogliemmo, a Bologna, la Nazionale Italiana Trapiantati per una partita di pallone. Li accogliemmo per la parte ufficiale nella sala del consiglio e un membro di una delle tante associazioni del volontariato fece la presentazione, uno ad uno, dei cinquanta membri della delegazione. Aveva la voce rotta dall’emozione.

Ragazze e ragazzi dai quindici ai trent’anni che avevano vinto, in tutte le discipline sportive, medaglie d’oro alle olimpiadi, a loro riservate, in tutte le parti del mondo. Trapiantati di cuore, di rene, di fegato.

Dai letti d’ospedale, per molti senza speranza, agli stadi; tornati alla vita e all’amato sport per la generosità di quella che un’apposita campagna chiama scelta consapevole.

Li richiameremo a Bologna, ripeteremo quella partita che fummo felici di perdere, per dare un modesto contributo e un messaggio ai tanti, troppi, in attesa d’intervento.

 

Bologna, 30 aprile 2001

Maurizio Cevenini

Si sta innervosendo

La calma è la virtù dei forti. I proverbi racchiudono in sé un po’ di saggezza popolare accumulata nel tempo, nei ricordi, nelle esperienze di uomini e donne e mantengono quella straordinaria attualità e freschezza che riesce a sintetizzare ampie elaborazioni di pensiero. Un giro di parole, un po’ per riempire questo spazio che il generoso editore mi concede in questa brutta campagna elettorale, e un po’ per sintetizzare lo scomposto comportamento di un leader che si ripropone di governare il Paese. Ho avuto occasione di dire più volte che riconoscevo l’oggettivo vantaggio del centro destra in questa competizione elettorale: tali e tanti erano stati gli errori di comunicazione, comprese alcune risse dal pollaio tra alleati, di un governo che ha lavorato bene per cinque anni. Berlusconi è partito presto con la sua campagna, con gli imponenti mezzi a disposizione. Ha dato il senso di essere l’unico attore dell’intera coalizione in un crescendo che ha portato al paradosso di annullare tutti gli altri visi dai manifesti elettorali, anche nei collegi uninominali, dove il confronto dovrebbe vertere tra i candidati locali e i loro programmi per il collegio, questo vale anche per la sinistra. In una fase iniziale, questa iniziativa esclusiva ritengo abbia pagato perché si è data l’idea di una coalizione più composta e ordinata dietro il proprio leader ma a tre settimane dal voto gli alleati, che comprendono che diviene prezioso anche il voto di lista per contrattare, da posizioni di forza i posti di potere, alzano la testa. Non vale solo per Bossi e per la Lega che era inevitabile che sull’incredibile forzatura di Formigoni si buttasse per giocarsi l’arma del Federalismo e del primato del nord, ma anche AN, CCD, i socialisti di Craxi si agitano. E il capo supremo perde il controllo e alza il tiro in modo disordinato e confuso; solo così si spiegano i rifiuti al confronto, il richiamo ai pericoli personali e l’esasperazione dell’attacco all’avversario culminato nell’autentico scivolone sul caso D’Antona.

Allora credo che il vento del dubbio stia scotendo gli elettori, anche coloro che volevano un ricambio; ma più che il conflitto d’interessi, l’inesperienza di una classe politica che non ha dimostrato capacità di governo, i dubbi li ponga proprio questo capo, indiscusso ma incerto, che invece di infondere sicurezza si sta innervosendo. C’è ancora tempo per decidere.

 

Bologna, 22 aprile 2001

 

Maurizio Cevenini

 

 

Una montagnola elettorale

 

Da questa settimana siamo, anche sul piano formale, in campagna elettorale e i partiti, i candidati sfodereranno tutte le armi più accattivanti per convincere gli elettori. Obiettivamente alcuni sono costretti a seguire le sorti dei loro leader, avendo poco valore aggiunto ma altri possono spostare, o almeno lo sperano, consensi attraverso iniziative personali. In questo pezzo post pasquale mi concentro su AN che sul piano delle iniziative originali ha veri cavalli di razza. Berselli vola tra le nuvole con la sua mongolfiera mentre Raisi rimane saldamente con i piedi per terra; entrambi sono lanciati nella campagna elettorale per se stessi e per il proprio partito. La differenza è che Berselli è tranquillamente primo nella quota proporzionale e neppure le civette possono impensierirlo, Raisi da secondo è legato ad una combinazione di risultati per ottenere l’agognata elezione al Parlamento. Raisi sfodera tutte le sue armi da un lato sostenuto dal Partito che guida a Bologna, dall'altro mettendo a frutto il ruolo importante di esponente della Giunta Guazzaloca. Raisi, come pochi altri, ha saputo capitalizzare, sul piano politico ovviamente, il risultato di Bologna ’99 entrando nella squadra di Guazzaloca. La curiosità è che il Sindaco anti-partito paradossalmente è il traino per le avventure elettorali del suo principale assessore di Partito. Raisi lo sa bene e accelera. Vedrete quante belle iniziative annuncerà il nostro assessore, da oggi alle elezioni; sulla prima, però, gli è andata male per un banale incidente di percorso. Da pochi mesi il Comune ha un nuovo segretario generale che, chiamato ad esprimere un parere tecnico sulle iniziative della giunta, ha rotto il primo giochino di Raisi: il lancio in grande stile del progetto di riqualificazione della Montagnola. Era tutto pronto, certamente anche la mega conferenza stampa ma l’ingenuo segretario si è permesso di affermare che quel progetto aveva l’esigenza del vaglio di un Ente inutile chiamato Consiglio comunale. In tempi normali lo slittamento di circa un mese sarebbe prassi ordinaria, vedi il piano del traffico che non scandalizza nessuno se è in ritardo di quasi un anno, ma le elezioni non aspettano e la riqualificazione se viene annunciata il 14 maggio non ha lo stesso valore…

Forza Enzo, pensane un’altra.

Bologna, 15 aprile 2001

 

Maurizio Cevenini

Libere forme associative e avanzo di bilancio

Bologna, verso la fine del mandato Vitali, si dotò di un elenco di tutte le associazioni che in modi diversi svolgevano per i bolognesi un servizio volontario di spessore sociale.

Oltre centocinquanta concorsero a formare il primo elenco delle libere forme associative ratificato, in modo unanime, dal Consiglio comunale. Fu un atto di razionalizzazione importante e doveroso che faceva chiarezza in un settore ricco di risorse umane, ma confuso nell’organizzazione.

Il complesso di queste associazioni occupa spazi del Comune che remunera con il pagamento di un corrispettivo di circa quattrocento milioni. Poco o molto? La valutazione della precedente amministrazione, condivisa in quel momento anche dalle opposizioni, sostanzialmente giusta per il notevole servizio svolto in favore dei bolognesi.

La nuova amministrazione ha deciso di invertire la tendenza: in sintesi la proposta prevede la revisione dei canoni fino all’80% dei fitti di mercato, riservandosi, successivamente, di rimborsare parzialmente quelle associazioni che presentino programmi d’attività soddisfacenti per l’esecutivo.

In termini economici si dovrebbe arrivare ad un introito di oltre un miliardo e mezzo, a fronte di un bilancio complessivo del Comune di oltre ottocento miliardi. Praticamente nulla.

Le associazioni, che in diverse occasioni si erano divise, sono insorte e hanno dato vita a forme di protesta significative cercando di far cambiare idea alla maggioranza prima della ratifica da parte del Consiglio. La prima motivazione è che per la maggioranza di esse significa pagare importi insostenibili per fare del volontariato, la seconda è la volontà di non sottoporsi ad una valutazione soggettiva e di squisito sapore politico che mina alla radice lo spirito d’aggregazione che ne ispira le attività.

L’aggravante di tutta questa operazione, che anch’io giudico ispirata a scelte politiche di frattura rispetto al tessuto aggregativi bolognese esistente, è che presto ci troveremo ad approvare il bilancio consuntivo 2000 che secondo prime parziali stime dovrebbe chiudersi con oltre dieci miliardi di avanzo.

Ciò significa che il Comune avrà speso meno di quanto incamerato e in assoluto questo non è un male, anzi; ma, avendo altri dieci miliardi da spendere nell’anno corrente e si presume per quelli a venire, diventa inspiegabile ed un po’ meschino andare a caccia di qualche spiccio da chi svolge quel ruolo sussidiario tanto sbandierato a destra e sinistra.

 

Bologna, 1 aprile 2001 Maurizio Cevenini

 

La squadra del Sindaco

La riforma che negli ultimi anni ha dato stabilità agli Enti Locali, basa la sua forza su due elementi cardine: a) il premio di maggioranza per la coalizione vincente, b) la squadra di assessori che il Sindaco può scegliere in autonomia e se "pesca" tra i consiglieri comunali, questi sono costretti a dimettersi; così è avvenuto per Foschini (Forza Italia), Raisi (AN), Galletti (CCD).

Ben diversa la situazione in Regione dove l'assessore, nell'eventualità di ripudio da parte del Presidente, rimane consigliere regionale con un peso politico che può essere determinate.

Affronto questo tema perchè in settimana si è molto parlato delle ipotetiche dimissioni forzate dell'assessore alla cultura Deserti, dopo i precedenti di Cantelli Forti che si dimise dopo nove mesi per candidarsi a Rettore, e l'allontamento di Preziosa per i noti motivi; tralascio per un momento i non celati desideri di due assessori di punta, Foschini e Raisi, per il Parlamento.

Non mi addentro neppure in una valutazione di merito sull'attività della signora Deserti perchè mi interessa fare un ragionamento più generale.

Bologna ha un Sindaco autorevole, forte della sua conclamata e vincente autonomia e quindi ritengo che anche un cambio di metà della sua squadra non ne scalfirebbe il prestigio.

Che tutto questo possa, però, incidere pesantemente sui lavori in corso nella nostra città mi appare altrettanto ovvio.

Il Sindaco, assieme ai suoi stretti collaboratori, è saldamente in cabina di regia ma la regia può collegare, mediare, concretizzare le attività che, giorno dopo giorno, gli assessorati costruiscono.

Ogni assessorato è in se una struttura complessa e articolata che necessita di una cura costante e saldezza di guida; non a caso Salvioli, pur subentrando a Cantelli Forti in una materia affine alla sua professione, ha richiesto tempo per prendere visione del quadro dei collaboratori e dei progetti in corso.

La continuità rappresenta inoltre, come in tutte le aziende complesse, un forte stimolo per i collaboratori, siano essi dipendenti che consulenti.

Tutto ciò ritengo sia sufficiente per dire che mi parrebbe negativo un forte turn over e rappresenterebbe anche l'ammissione di scelte non efficaci.

Qualche stridio in città comincia a sentirsi anche se il mio, è sempre bene ricordarlo, è un parere di parte, molto di parte.

25 marzo 2001 Maurizio Cevenini

Nata dalla resistenza

 

Della rivoluzione elettorale del giugno 99 a Bologna ormai si è detto tutto.

Tantissime analisi sui motivi del crollo della roccaforte della sinistra dal dopoguerra ad oggi, tantissimi interrogativi su cosa avrebbe fatto la novità Guazzaloca ed il centro-destra che lo sostiene. Qualcuno guardava con apprensione il nuovo corso, altri con grande fiducia.

Il Sindaco si è mosso con prudenza, come è sua apprezzata caratteristica, ma marcando in tema di interventi concreti differenze rispetto alle scelte della precedente amministrazione e anche dai programmi dell'attuale opposizione.

Su temi di rilievo come il traffico, le infrastrutture, l'organizzazione della macchina comunale cominciano, come è giusto, a rendersi evidenti.

Ma i partiti principali che lo sostengono, AN e Forza Italia, per discontinuità intendono qualcosa di più sostanzioso e simbolicamente evidente.

Leggo così la scelta di cancellare dallo Statuto di Bologna la frase "nata dalla resistenza". Non è stata disattenzione l'aver assecondato chi aveva avanzato per primo questa proposta ma un lucido progetto politico ad orologeria.

Se io e il collega Benecchi non avessimo forzato il parere del Sindaco, che sapevamo legato ai valori della Resistenza, la proposta sarebbe arrivata in aula, dopo le elezioni politiche che il Polo è convinto di vincere, e lì, davanti alle opposizioni smarrite dalla sconfitta, il segnale della discontinuità sarebbe stato lanciato.

Ma Bologna ha reagito, anche gran parte di quella che ha votato Guazzaloca, e il centro destra, in ordine sparso, ha fatto una ritirata strategica.

Credo infatti che chi vede nell'articolo dello Statuto un'occasione per segnare fortemente la differenza, ritenterà, anche rischiando di mettere in difficoltà il Sindaco.

Vigileremo sui nostri valori e sulla nostra storia

Bologna, 18 marzo 2001 Maurizio Cevenini

 

13 maggio tra civette e partite scudetto

Finalmente è arrivata, dopo accesi dibattiti, la decisione del Presidente del Consiglio: si vota il 13 maggio. Tanti i trascorsi storici ma il più significativo rimane il 13 maggio 1974, quando l'Italia disse no all'oscurantismo respingendo l'abolizione della legge sul divorzio. Cito quella data non tanto per il significato civile di quel referendum, ma perchè penso che quegli erano gli anni dell'impegno e della partecipazione e tutto il Paese visse con trasporto e consapevolezza quella vicenda. Erano decise e chiare le posizioni in campo e le piazze si riempivano di cittadini di ogni età, moltissimi giovani; Specularmente, purtroppo, questi sono gli anni del rifiuto della politica, del ritiro nel privato, forse per la confusione.

Parte una campagna elettorale cattiva; più mirata a screditare l'avversario, sottolineandone gli errori, che a fare emergere le proposte concrete e alternative di governo.

E poco aiuta a ritrovare in gusto per la politica il pasticcio incomprensibile delle liste civetta, per le quali strepitano i piccoli raggruppamenti dopo aver lavorato per frazionare ulteriormente il panorama politico, facendo fallire l'unica vera semplificazione elettorale, proposta nell'ultimo referendum: l'abolizione della quota proporzionale. A Di Pietro, D'Antoni e allo stesso Bertinotti dico che è comprensibile se i due schieramente che concretamente si giocano il governo del Paese, fanno tutto ciò che la legge permette per raccogliere il massimo dei consensi. La sfida è a due: Berlusconi e Rutelli, centro destra e centro sinistra, gli altri corrono per piazzamenti ed è bene che gli elettori sappiano che verranno giocati, subito dopo il voto, per far pendere la bilancia del governo.

Mi auguro che questi due mesi, anche se non mi illudo troppo, servano a fare emergere le ragioni delle rispettive proposte di governo; in questo caso ritengo che ci sia veramente da parte dell'Ulivo, soprattutto per le buone prove di questi cinque anni, la possibilità di recuperare l'obiettivo svantaggio dal Polo.

Un'ultima considerazione. Credo veramente che a far pendere la bilancia per la scelta della data, sia stato lo scontro scudetto Juve Roma del 6 maggio; la potenza del pallone non ha limiti.

Bologna, 11 marzo 2001                                Maurizio Cevenini

 

Non tornare all'aggiunto del Sindaco

Alla fine degli anni sessanta Bologna avviò un'esperienza unica di partecipazione inventando i quartieri, una aggregazione originale che servì moltissimo a far crescere il senso civico e la partecipazione dei cittadini.

Molte delle esperienze di volontariato attivo di oggi, hanno tratto spunto dai "piccoli comuni" sotto casa che davano concrete risposte alle esigenze degli abitanti di una Bologna ben più popolata dell'attuale.

Alla guida politica di questo processo partecipativo vennero costituiti i consigli di quartiere, organi di secondo grado, coordinati da una figura di fiduciaria del Sindaco, l'aggiunto, che aveva scarsi poteri concreti nei confronti dell'amministrazione centrale. Questa scarso potere contrattuale fu l'elemento principale, assieme alla disaffezione per la politica attiva, che portò alla fase di crisi dei quartieri proprio nel momento in cui, a metà degli anni ottanta, si giunse, finalmente in tutta Italia, all'elezione diretta dei rappresentati dei quartieri.

Oggi a Bologna ci troviamo di fronte a una situazione particolare ed atipica; l'elezione a Sindaco di Giorgio Guazzaloca, come tutti sanno, non è stata accompagnata dalla vittoria completa del centro-destra e sei quartieri su nove sono governati dal centro-sinistra. Dopo due anni di esperienza amministrativa le differenze di valutazione, fortunatamente per la politica, sono palpabili e i contrasti tra Giunta e quartieri aumentano.

Una frase del Sindaco, accompagnata ad un incarico di qualità all'ex rettore Roversi Monaco, sull'esigenza di rivedere il ruolo dei quartieri mette in allarme chi, come il sottoscritto, vede in questa ipotesi la volontà di riportare i quartieri al periodo in cui i poteri diretti degli stessi erano sostanzialmente nulli. Questa scelta, al di là dell'evidente calcolo politico, rappresenterebbe la definitiva archiviazione di Bologna metropolitana, che, al contrario, dovrebbe vedere i quartieri, dotati di poteri effettivi, primo anello della partecipazione amministrativa.

Bologna, 4 marzo 2001 Maurizio Cevenini

 

 

I comitati sono di destra o di sinistra?

In quest'ultima settimana si è aperto a Bologna un dibattito sul ruolo dei comitati di cittadini che si costituiscono in città sugli argomenti più vari.

Ovviamente ha fatto da traino la decisione di una parte di questi di portare il Sindaco e la giunta di Bologna in tribunale per inadempienze sulle misure anti-inquinamento con il successivo parere dei periti che pare confermino le critiche. In questo primo intervento in veste di opinionista politico, che il generoso direttore di questo giornale mi ha affidato, cercherò di essere obiettivo, senza farmi trascinare dal ruolo di oppositore attribuitomi dall'incredibile 99 bolognese.

Quello dei comitati è un fenomeno che è sempre esistito ma che ha subito un notevole incremento in questi ultimi anni, di pari passo con l'incapacità dei partiti a rappresentare interessi diffusi o minuti segnalati dai cittadini.

A Bologna, in particolare, è bene ricordare che i due comitati più consistenti portarono la Giunta Vitali ad affrontare due referendum (nuova stazione ferroviaria e privatizzazione delle farmacie); i fondatori dei due comitati rappresentavano mondi ed interessi diversi, in mezzo lavorarono organicamente partiti e singoli, intrecciandosi in modo anomalo. Crebbero molto e la loro attività si intensificò raggiungendo l'apice durante la campagna referendaria; poi si sgonfiarono e scomparvero. Ma incisero molto sulla credibilità dell'amministrazione di centro sinistra contribuendo, assieme ad altri fattori, a creare le condizione per il successo di Guazzaloca. E la stessa lista civica del Sindaco, nella sua originalità, sfruttò pienamente ed in modo legittimo i diversi comitati che sorgevano nei vari quartieri, inutile ricordare il ruolo elettorale del comitato anticordolo della rossa via Emilia.

I comitati di oggi sono tanto diversi da quelli di ieri? Possono essere incasellati nel fronte dell'opposizione al governo della città? No, sarebbe troppo semplice. Come ieri manifestano un disagio sulle scelte di chi governa che, dopo un anno e mezzo, deve cominciare a dare risposte convincenti.

Bologna, 26 febbraio 2001 Maurizio Cevenini